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LETTURE&SCRITTURE Dicembre 1998


La filosofia liberata 

Abbandonare dogmi, concetti metafisici e modelli: è questo secondo il filosofo Gilles Deleuze l'unico modo per interpretare l'uomo e il mondo. Come spiega in un saggio Tiziana Villani

Tiziana Villani - "Gilles Deleuze" - Costa & Nolan, pp.167, L.24.000

copertinap.JPG (10278 byte)"Liberare pensieri e concetti dalla trappola di ogni assoluto è, in qualche modo, il compito della filosofia". Si apre con questa significativa dichiarazione d’intenti il bel saggio di Tiziana Villani su Deleuze: un filosofo dalla parte del fuoco, come recita il sottotitolo del libro, a sottolineare l’ustionante aspetto dissacratorio di una riflessione assolutamente antidogmatica, sostenitrice com’è della necessità di prendere una volta per tutte le distanze da ogni supponenza metafisica, sempre tanto cara alla speculazione occidentale, così incline a perdersi dietro i miraggi di questa o quella filosofia dell’Essere.

Il pensiero orientato alla metafisica, infatti, va in cerca di stelle fisse ed ancoramenti definitivi in porti di certezze, consegnandosi ad un orizzonte che va oltre la dimensione terrena e transeunte del nostro divenire. La ricerca di Deleuze invece si richiama piuttosto alla metafora dell’erranza in un itinerario nomade alla scoperta del mondo e degli uomini, non attento esclusivamente alla razionalità ma, seguendo l’indicazione di Nietzsche, inteso ad "esplorare quelle zone che partecipano del caos e si manifestano in assenza di una precisa direzione di senso".

La filosofia è così invitata ad interrogare/esplorare gli eventi, cioè l’esistenza con tutte le sue metamorfosi, le molteplici passioni e soprattutto le inquietudini che la agitano. Il filosofo quindi non ha da cogliere l’hic et nunc del presente cristallizzandolo attraverso il rigido paradigma d’una immagine codificata, ma guardando ad esso come una variegata molteplicità; anzi assumendo se stesso come una molteplicità in perpetuo mutamento, interagente con gli altri soggetti e con il mondo. Il che, per Deleuze, è l’unico sano modo di porsi nei confronti della vita. Una vita colta nella sua dimensione cangiante ed al contempo tutt’uno con la matericità dei corpi. Compito del filosofo è quindi aver cura della vita. E in ciò Deleuze riprende una prospettiva cara al pensiero greco antico, in una visione eu-biotica all’insegna del saper vivere bene. Non però stoicamente – precisa Villani – perseguendo un apprendistato il cui fine sia l’accettazione dell’inevitabile nostro venir meno, bensì per dedicare cura e attenzione all’"esistere in quanto tale".

Secondo questa prospettiva la morte stessa "strappata all’assoluto" non è più scacco dell’Essere o angoscia (con buona pace di Heidegger), essendo ricondotta alla sua valenza naturale che è poi soglia dell’esistere. Si dispiega quindi un divenire aperto che "non si esaurisce sotto il segno di una negazione senza speranza" in quanto ogni perdita non si sconta nel lutto ma è preludio a nuove scommesse d’incontro e d’esperienza, da affrontare provvisti di quell’arte della superficie che è l’umorismo, il quale – al contrario dell’algida ed intellettualistica ironia – prelude al calore di una pietas fatta di com-passione essenziale all’esercizio d’un ascolto empatico, aperto anche alla lingua che esprime l’audacia del desiderio più trasgressivo o lo scandalo della diversità e della follia.

E giusto le puntualizzazioni intorno al tema della pazzia e del suo trattamento (su cui il Nostro lavorò a quattro mani con Félix Guattari, scrivendo il noto Anti-Edipo e il meno celebre Capitalismo e schizofrenia) rappresentano l’ambito più provocatorio, discusso e discutibile del cosiddetto Deleuze antifreudiano. Peraltro, quantunque la sua concezione riguardo alla follia possa oggi apparire datata e riduttiva, resta che l’aver saputo cogliere come la repressione del delirio sia rivolta a esorcizzarne la scomoda alterità e come il suo linguaggio dica l’inconfessabile di pulsioni che non ci risultano così estranee (ad onta di quanto la ragione vorrebbe illuderci) fa di questo eccentrico maître à penser campione d’anticonformismo un acuto analista del postmoderno. Un tempo del freddo sentire e della virtualità, nel cui mondo dematerializzato (come sostiene un altro pensatore francese, P.Virilio) alcuna crudeltà rischia d’esser riconosciuta, in quanto nemmeno la propria vita è davvero più cara.

Secondo l’analisi di Villani, invece, in netto contrasto col nichilismo, l’opera deleuziana può venir collocata nel solco di quella tradizione propositiva cui appartengono, con diversi accenti, "alchimisti" come Giordano Bruno, Spinoza, Nietzsche o Artaud, in grado di far sgorgare vita dalle vene del pensiero. Un pensiero declinabile all’insegna dell’immanenza e del "sapere contaminato", vaccinato contro verità oggettive o assolutezze. C’è più che mai necessità di una filosofia capace di produrre la gaia scienza; ciò comporta però l’invenzione di percorsi i quali si oppongano alle dogmatiche che "con il pretesto di voler ‘semplificare la vita’ o far ‘accettare il dolore’, producono sistemi di appiattimento e di assoggettamento".

Francesco Roat