La pistola scarica di Clinton
Il crollo del prezzo del petrolio
apre una crisi devastante nel Medioriente già sotto il tiro del fondamentalismo; gli Usa
si ritrovano con l'arsenale dei missili vuoto dopo l'ennesimo attacco all'Iraq. Due
scenari da fantapolitica non troppo rassicuranti. Ma non distanti dalla realtà
Scenario numero 1- Anno 2002: nei Paesi Arabi
ridotti alla miseria con il prezzo del petrolio sotto tutti i minimi storici scoppia la
crisi. E il fondamentalismo islamico, che non aspettava altro, magari assieme all'iracheno
Saddam, trova nuova forza contro "l'Occidente corrotto, colonialista e
sfruttatore". La Nuova Guerra Mondiale?
Scenario numero 2 - Anno 2001: dopo una serie di scaramucce
e continue "Tempeste nel deserto" contro il raiss iracheno, gli Usa si ritrovano
improvvisamente con l'arsenale militare ridotto all'osso. La Nato, come al solito, è nel
caos. Così Saddam, senza più grossi ostacoli, rialza la testa e si espande. Un Nuovo
Ordine Mediorientale?
Non sono le prossime trame dello scrittore Tom Clancy. O
del prossimo film di 007. Ma due scenari possibili. Con tutte le cautele necessarie in
ogni tentativo di indovinare il futuro socio-economico del mondo.
La prima "profezia" è di Mimmo Càndito, inviato
del giornale La Stampa che ha visto e scritto le guerre di mezzo pianeta negli ultimi 30
anni e che conosce il Medio Oriente come pochi. "Con il barile di greggio che
staziona pigro sui 10 dollari - ha scritto Càndito - oggi il petrolio costa meno che nel
1973 ... La caduta del mercato è impressionante, all'inizio del '97 il prezzo era ancora
di 25 dollari. Aspettarsi una rivoluzione mondiale non è fantasia. L'Arabia Saudita ha
già dovuto chiedere un maxi-prestito di 5 miliardi di dollari (8 mila miliardi di lire)
... Russia, Indonesia, Messico, Venezuela, Iran, le stesse ex Sette Sorelle sono stati
costretti a rivedere i bilanci. L'Opec (l'Organizzazione dei Paesi produttori di petrolio)
ha perso 50 miliardi di dollari (800 mila miliardi di lire), la crisi è in arrivo".
Continua Càndito: "La scintilla può venire da Saddam o dai sussulti israeliani:
navi e aerei Usa stanno già in zona, c'è puzza di bruciato nell'aria".
Mica tanto rassicurante, come previsione. Ma per niente
campata in aria. Senza contare che L'Iraq è sotto embargo e non può vendere il suo
petrolio (che è tanto), se non per comprare cibo e medicinali per la popolazione
("pane per petrolio"). Se domani dovesse tornare sul mercato anche il suo
greggio, il prezzo del barile andrebbe a picco. E già oggi un litro di benzina, in
Italia, è sceso ai prezzi corrispondenti a quelli dei primi anni '70.
Altre due note: quasi tutti i Paesi produttori di petrolio
attraversano gravi crisi economiche (Russia, Indonesia), sono super indebitati verso
l'estero (Messico) o vivono quasi esclusivamente dalla vendita dell'oro nero (Venezuela,
Iran e le altre nazioni Mediorientali). Per chi si è retto solo sui pozzi petroliferi un
crollo del prezzo del barile significa il crack sociale ed economico. Senza alternative.
Seconda nota: la tecnologia avanza non a grandi passi ma a salti da record. Negli Usa e in
Giappone sono già in vendita le prime auto ibride (motore a scoppio più motore
elettrico) e per l'anno prossimo potrebbero arrivare anche quelle a idrogeno; lo
sfruttamento dell'energia eolica (notizia di questi giorni) sta raggiungendo livelli di
resa ed efficienza notevoli; effetto serra, cambiamenti climatici, buco nell'ozono stanno
(lentamente, a dire il vero) costringendo parte dell'Occidente a ridurre consumi e
produzione di fumi di scarico industriali e dei veicoli Che significa minor consumo di
idrocarburi.
Conclusione? L'ha già suggerita Càndito: rischio di crisi
in una delle zone più calde del mondo, e non solo perché desertiche. Cosa ne uscirà
dipende da molte cose, non ultimo il comportamento dei Paesi Occidentali.
E lo scenario numero 2? Gli Usa, prima potenza mondiale, si trova
improvvisamente senza cartucce. Nel vero senso della parola. Cosa che farebbe la gioia di
non poche persone sul pianeta. Ma se è vero che qualche volta sarebbe stato meglio se gli
Stati Uniti fossero stati un po' più debolucci (Vietnam, Cile, Sudamerica in generale),
molte altre si può solo ringraziarli per esistere. Tra cui il contributo fondamentale a
quel piccolo conflitto che fu la Seconda Guerra Mondiale.
Possibile? Qualcuno ha fatto i conti. Solo per l'operazione
Desert Fox l'Air Force, che ha condotto gran parte degli attacchi contro l'Iraq, si è
trovata con l'arsenale dei missili cruise (capaci di colpire i bersagli da lunga distanza
senza mettere in pericolo i piloti) ridotto del 40%. I bombardieri B-52, ad esempio, hanno
lanciato 90 missili cruise in 4 giorni dei 239 totali. Mettiamo (con i debiti scongiuri)
che domani per altri 4 giorni riprendano i bombardamenti. L'arsenale Usa dei super-missili
verrebbe quasi azzerato. Ci sono quelli convenzionali, ma questo significa portare gli
aerei sotto il tiro della contraerea e dei missili terra-aria. Allora? Basta fare altri
cruise. Ma le cose non sono così semplici. Vediamo perché.
Primo: i missili "persi", costruiti dalla Boeing,
sono fuori produzione da anni. Quindi, oltre al prezzo da infarto di un miliardo e 700
milioni l'uno, rimettere in piedi una produzione abbandonata diventerebbe economicamente
proibitivo.
L'alternativa potrebbe essere la riconversione di parte dei
1141 missili a testata nucleare dell'arsenale americano in armi convenzionali. Già molti
missili militari Usa sono vecchi razzi da "Guerra Fredda" trasformati, in fondo.
Ma l'Air Force non vuole ritrovarsi con il problema contrario: cioè indebolita nel
settore nucleare.
Non basta. I missili cruise Agm-86B e Agm-86Cs
(tecnicamente Calcm, Conventional air launched cruise missiles) a lunga gittata (circa
1000 chilometri) usati contro l'Iraq saranno sostituiti dopo il 2001 dai Jassm (Joint air
to surface standoff missiles). Che però hanno un raggio d'azione inferiore ai 500 km, e
quindi espongono i lenti B-52 alla reazione nemica. E questo sarebbe un passo indietro.
Così gli esperti del Pentagono devono scegliere: spendere
un mucchio di quattrini per acquistare i vecchi cruise; smontare e quindi indebolire parte
dell'arsenale atomico; aspettare i nuovi missili che hanno però il problema della gittata
minore. Tenendo conto che lo scherzetto del Desert Fox è costato all'esercito Usa
qualcosa come 1700 miliardi.
A complicare le cose, c'è anche l'Us Navy che deve
rimpiazzare i suoi 300 Tomahawk sparati dalle navi e dai sommergibili. Ma la sua
situazione è meno grave: di Tomahawk gliene restano 2500. E tra poco arriverà una nuova
versione in grado di cambiare obiettivo anche in volo, una volta lanciato.
Comunque sia, se mettiamo assieme i due scenari (sa un po'
più da romanzo, ma meglio non disprezzare troppo la fantapolitica) non c'è da stare
allegri. Sarà per questo che Clinton ai primi di gennaio ha deciso di passare un
mega-finanziamento per rinnovare in due anni il sistema militare degli Stati Uniti? |