Un viaggio
fra gli angoli, le volute, gli scorci e i chiaroscuri di Lecce e della sua elaborata
architettura. Una città, dice l'io narrante del romanzo-saggio-diario di Paul Carter,
"fatta per lo sguardo". E che, osservata con la mente oltre che con gli occhi,
nasconde misteri e inquietanti metamorfosi
Paul Carter, Memorie barocche Una stravaganza,
Ed.Argo, pp.267, L.25.000
Un'intima unità dell'essere pervade tutta la produzione
barocca, sostiene Arnold Hauser. Così l'opera d'arte in quanto totalità, in quanto
polisemico organismo diviene cifra dell'universo. Ciascun elemento artistico infatti -
sottolinea l'autore tedesco - ciascuna parte "rimanda a un'infinita ininterrotta
concatenazione; ognuna contiene le leggi del tutto, in ognuna agisce la stessa forza, lo
stesso spirito".
Forse è tale visione olistica del barocco (mai conciliata,
però, nella sua irrisolta tensione verso lassoluto) a rendercelo così vicino e
moderno. Ed è probabilmente in assonanza con questa prospettiva tanto attenta a
complessità e compenetrabilità che Paul Carter ha scelto di scrivere le sue
"Memorie barocche", ambientate in una Lecce trasfigurata dall'immaginario
dell'io narrante (un perdigiorno? un filosofo? un fotografo incaricato di ritrarre ciò
che nessun turista ha mai colto?), il quale percorre straniato questa città "fatta
per lo sguardo" mettendo a fuoco i chiaroscuri e gli spazi fra una cosa e l'altra,
attratto dall' "abbagliante oscurità" di palazzi, balconi, timpani, volute,
nicchie, alla caparbia ricerca di una città dentro la città, ben consapevole a priori di
come sia angusta e deformante pure la visuale del suo obiettivo grandangolare. Quantunque
paradossalmente, secondo il protagonista, per riconoscere questa Lecce interiore e
misterica basta riuscire a mantenersi alla superficie dei suoi volumi cesellati, essendo
essa "unincrostazione della superficie".
Così il viaggio attraverso i luoghi di un barocco più
immaginifico che reale si fa labirintico, a coglierne il nocciolo segreto, che è poi il
ventre stesso dello spazio, a cui la luce e laria sembra conferiscano forme mutanti
di continuo. Ed è proprio la metamorfosi la categoria ermeneutica che presiede a questo
testo eccentrico (romanzo? saggio? diario?) di sottile maestria fabulatoria. Metamorfosi
che riguarda anche il narratore ed i suoi alter ego che si susseguono in queste memorie
barocche: dal maestro di fotografia Grazioni al dottor Duende, al navigatore Magellan.
Persino la bella Nostalgia o la Contessa sono variazioni dialoganti sul tema, anzi
monologanti, perché ciascun personaggio narra una storia, una Lecce alla fin fine diversa
e irriducibile alle altre.
Sebbene queste città si possano poi sempre ricondurre ad
un solo paradigma bifronte: lo spazio di forme, chiaroscuri e illusioni prospettiche che
pare giusto lombra proiettata dalla matericità dei palazzi. Tantè che per il
fantasioso e un poco decadente Paul Carter, barocco non è appena limitarsi a costruire
fluttuanti edifici di parole o di pietra, ma "rimanere quietamente in piedi fra le
loro macerie a contemplare il polverio minuto nellaria circostante".
Francesco Roat