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redarrowleft.GIF (53 byte) Letture & Scritture Aprile 1999


 Che triste quell'isola: torniamoci

Scoperta per caso nel 1506, la microbica isoletta di Tristan nell'Atlantico non è proprio un esempio di ospitalità. Ma pur brulla e tempestosa ha ospitato intere generazioni di pescatori fino ad oggi. Nel 1961 fu abbandonata per un'eruzione vulcanica, due anni dopo gli abitanti erano già tornati. Marco Ferrari ha voluto raccontare diciassette spezzoni di vita di altrettante famiglie antiche e moderne. Che alle comodità hanno preferito solidarietà e condivisione

Marco Ferrari, I sogni di Tristan, Sellerio, pp.132, L.15.000

Tristan.JPG (9880 byte)A causa della sua conformazione vulcanica, dell’esiguità della propria superficie, dell’insistita presenza di umidezza e bufere, l’isola di Tristan da Cunha - graffio di compasso nella sterminata distesa dell’Atlantico - scoperta per caso nel 1506 dal navigatore portoghese da cui essa trae il nome, non è mai stata una terra promessa per gli uomini di mare che negli ultimi due secoli hanno insistito caparbiamente ad abitarla. Tuttavia, quando nell’autunno del 1961 a causa d’una eruzione vulcanica vennero costretti a lasciarla, lo fecero talmente a malincuore che appena un paio d’anni dopo gran parte di loro presero la decisione di attraversare un’altra volta l’oceano per ritornare in quella landa estrema (a cui approda solo ogni tre mesi una nave a rifornire di viveri, giornali e notizie del mondo i Tristani). Terra emersa tra i flutti d’un mare sin troppo tempestoso e denominata l’"isola della desolazione", ma forse ingiustamente, se è riuscita a richiamare alla propria natura selvaggia uomini e donne che han preferito trascorrere la vita su un fazzoletto di terra d’appena un centinaio di chilometri quadrati, sprezzando gli agi e i disagi di quell’altra isola - immensa rispetto a Tristan - l’Inghilterra, su cui essi avevano inteso fare solo temporaneo approdo.

E giusto intorno a Tristan ruota questo bel libro di racconti di Marco Ferrari, che narra diciassette spezzoni di vite - resoconti fantastici, scampoli di saghe marinaresche o autentiche cronache familiari, poco importa - una manciata di narrativi oceanici aventi per protagonisti antichi e recenti abitatori dell’"ultima isola", in cui si può riassumere la storia di Tristan, dai primi colonizzatori ai giorni nostri, attraverso un compendio di rassegne esistenziali segnate - come accenna allusivamente il primo brano della raccolta - da "fallimenti e testardaggini" o da "solitudini e ingenuità". Che sarebbero poi le qualità umane in cui più o meno si ritrovano tutte le voci narranti di Ferrari, intese a raccontare con singolare vis evocativa e esuberanza metaforica la ripetitività di vite pazienti trascorse presso una terra che sarà sì "ospitale solo per i naufraghi", ma che talvolta pare assumere la valenza d’un mondo quasi utopico all’insegna della solidarietà e della condivisione.

Un mondo dove "si vive e si muore assieme", in cui tra arcobaleni e tempeste, casupole al riparo delle quali sognare addii o ritorni, mari metallici ove vagare alla ricerca di foche e campi di patate rubati alla pietra lava da cui trarre il magro sostentamento per giorni sempre uguali, si ripercorre generazione dopo generazione quell’avventura per antonomasia che è la vita.

Francesco Roat

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