Sentirsi
soli può essere una delle peggiori esperienze della vita. Almeno quando la vera paura è
quella dell'abbandono. Ma secondo lo psicoterapeuta Aldo Carotenuto imparare a convivere
con sé stessi e con gli altri senza il trauma della separazione può diventare anche una
ricchezza personale e artistica
Aldo Carotenuto, Vivere la distanza, Bompiani, pp.192,
L.29.000
Forse
le prime esperienze che ogni essere umano compie venendo al mondo, forse lo stesso evento
della nascita e del trauma da separazione che ne deriva si configurano allinsegna
della distanza. E il saper prendere le distanze dal corpo della madre a cui si era uniti
nella fusionalità prenatale riuscendo gradualmente a sopportarne lassenza,
rappresentano lavvio basilare di quel processo di differenziazione ed individuazione
che permetterà al soggetto di costituirsi quale io autonomo. Potremmo dunque ipotizzare
che la capacità di rimanere soli tollerando senza angoscia la distanza
dallabbraccio protettivo materno crea le condizioni per istituire un rapporto
positivo in primis con se stessi, quindi con gli altri e il mondo.
E questa la tesi, il fil rouge che percorre e lega
insieme tutti quanti i capitoli dellultimo saggio di Aldo Carotenuto su solitudine,
incomunicabilità e disagio del vivere. Temi che il nostro terapeuta dellanima
affronta dalla prospettiva della distanza nel sottolineare, rifacendosi a Winnicott, come
nel bambino la capacità di star solo rappresenti una fase decisiva per la successiva
formazione duna personalità adulta non disturbata. Certo, tornerà pur sempre a
ripresentarsi "la nostalgia di uno stato di completa fusione e comunicazione con
laltro", ma chi avrà appreso a star bene con se stesso non rischierà di
cedere allhorror vacui, al terrore del vuoto in cui possono farci precipitare
un abbandono o una perdita. In quanto, se è vero che lincontro con laltro
(specie quello privilegiato della relazione sentimentale) comporta la possibilità di far
nascere un rapporto affettivo appagante e duraturo, qualora tale legame abbia a spezzarsi
può riapparire linquietante fantasma della separazione primaria. Non importa,
infatti, se tale distacco sia causato da morte o allontanamento per disaffezione. Resta
che esso "è fra gli eventi più terribili nella vita umana".
Si ribadisce insomma lassunto di Anna Freud, secondo
la quale il vissuto melanconico di solitudine è sempre unito a quello della perdita,
causa (per dirla in termini psicoanalitici) uninsoddisfacente rielaborazione del
lutto. Però a questo punto a proposito di solitudine bisogna fare una distinzione.
Effettivamente un conto è sentirsi derelitti e vuoti; altro essere in grado di rimanere
soli: condizione indispensabile alla produzione artistica, alla riflessione, alla disamina
interiore. Colta in questa prospettiva, sostiene Carotenuto, la solitudine permette
"la rivisitazione del passato personale che può confluire nel mare del presente,
consentendo così allindividuo di percepire un continuum dellesperienza
esistenziale" di modo che operare una presa di distanza dagli altri non diviene
chiusura ma piuttosto rende possibile lapertura al mondo e al tu; favorendo
altresì il libero manifestarsi della creatività anche grazie al rifiuto delle pretese
egemoniche di controllo da parte dellio sul reale.
In che consiste dunque, si interroga lautore, la
paura di vivere? Per restare nella metafora della distanza potrebbe significare ripiegarsi
in se stessi in una clausura che, aborrendo lignoto del domani e temendo il rischio
della relazione, ci trasforma in monadi senza porte e finestre, i cui angusti confini ci
consegnano davvero alla solitudine. Ma se non vi è modo di abolire definitivamente la
distanza, di restaurare ledenico stato di grazia prenatale, bisogna trovare il
coraggio suggerisce Carotenuto "di ammettere e riconoscere la propria
fragilità". Allora abitare la distanza comporta rendersi conto dei nostri limiti,
abbandonare ogni illusoria pretesa di approdi definitivi; vuol dire soprattutto
riconoscere nella ineliminabile solitudine il tratto fondamentale dellessere umano.
E forse, come ha sottolineato Emilio Tadini, è solo la presenza dellAltro a poter
risolvere lenigma della distanza; una presenza che rende questa tollerabile gettando
sullabisso che ci separa un ponte di relazioni che, pur non abolendola, la colma.
Francesco Roat