Che confusione in quella City
Più che un romanzo, è
una raccolta di esercizi di stile. Dove sembra contare più la ricerca di modi di scrivere
creativi e di effetto che quello che si racconta. E' l'ultimo lavoro di Alessandro
Baricco: una "City" dove storie e intrecci sono strade e quartieri, ma dove a
comandare è l'arte di usare le parole
Alessandro Baricco, City, Rizzoli, pp.321, L.28.000
Non mi è facile tentare un profilo
critico di City, lultimo libro di Baricco (sulla cui copertina troviamo
scritto romanzo, ma si tratta di una definizione di comodo), causa tutta una serie
di aspetti che, leggendo le trecentoventuno pagine di questo testo eteroclito per scelte
stilistiche e contenuti narrativi o ancora e solo narratologici? , di volta
in volta mi sono apparsi convincenti e dissuadenti, felici invenzioni
fabulistico-espressive e sperimentalismi un po fine a se stessi: ovvero esercizi di
stile aventi come scopo o almeno come effetto lo scatenare nel lettore
"maraviglia" e plauso nei confronti di chi, sia detto subito onde evitare
equivoci, resta comunque un godibilissimo fabbricante di intrecci e un abilissimo maestro
di scrittura.
Ma, appunto, qui iniziano le note dolenti o
almeno dissonanti: in quanto troppi brani di City di là dalla storia o
dalle storie narrate, cioè dal cosiddetto romanzo appaiono come congegnati quasi
solo a risolversi in pagine deffetto o esercitazioni stilistiche da scuola di
scrittura creativa. E rifacendoci alla metafora della città da cui il titolo al libro, a
giustificazione della caleidoscopicità inflativa formale e contenutistica del
"romanzo" in oggetto, sarà pur vero che qui, come sottolinea lo stesso autore
nel risvolto di copertina, le storie rappresentano i quartieri e i personaggi le strade di
un testo costruito come una City; ma essa (assieme al gomitolo multicolore di
racconti e stilemi) finisce per dilatarsi a metropoli, in una ipertrofia di trame,
registri, toni e piani narrativi che rischiano di trasformare la scrittura di Baricco in
un barocco enfatico nel tentativo di troppo dire, esplorare, raccontare e soprattutto
produrre unopera di fascinazione ed autofascinazione.
Mi si potrebbe obiettare: ma è proprio
questo il pregio, la prospettiva così post-moderna di City. Il suo essere giusto
un paradossale romanzo di formazione allinsegna delleterogeneità delle
vicende e della varietà di percorsi espressivi. Sì, ma il rischio di smarrirsi (e
intendo in termini di tenuta estetica e insieme romanzesca, o narrativa, se il termine
suona più gradito) nei dedali di City è alto. Per farmi capire meglio dirò che,
stante la bravura del raccontare intorno ai vari modi di raccontare, Baricco a
differenza di quanto gli è accaduto negli altri lavori precedenti qui è come se
avesse compiuto una scelta coscientemente contraddittoria: cercare di sorvegliare al
massimo (dal punto di vista del virtuosismo della pedaliera stilistica)
larchitettura formale, forzandola tuttavia sino a farla esplodere in mutazioni
incontrollate quasi da scrittura automatica e ibridazioni di genere (in City si passa da
racconti di grande fluidità descrittiva a brani di insistito lirismo, dialoghi
cinematografici, sceneggiature tipo spaghetti-western, capitoli svincolati dai lacci e
lacciuoli ortografici della punteggiatura, infine a pezzi di saggistica pura, come la
lezione di filosofia-estetica tenuta circa a metà testo dal personaggio del professor
Bandini) germinanti una miriade di microstorie irrisolte (non semplicemente lasciate
sospese, bensì abbandonate al lettore).
Si ha, inoltre, limpressione di
troppa carne al fuoco: talmente vasti sono i panorami narrativi e metanarrativi dispiegati
da una City in cui siamo costretti a vagabondare a effetto di spaesamento nei
confronti del racconto/del raccontare tradizionale ma dovremmo avere già abdicato,
nella visuale del nostro disincanto, alle pretese di esaustività narrativa, di
completezze, di storie conchiuse non certo catartico bensì semplicemente
letterario. Un solo esempio, poche righe emblematiche: "non cè in nessuna
donna tutta la donna che cè in un tacco a spillo perso per strada: e se questo è
vero lautenticità sarebbe allora una metropoli sotterranea percepibile per il
bagliore di feritoie minuscole che la annunciano, oggetti-luminescenze intagliati nella
superficie blindata del reale, fiammate che sono annunciazione e scorciatoia, segnale e
porta, angeli (
)". A parte limpiego un po abusato del feticcio,
si sprecano in City gli orizzonti-feritoie che promettono annunciazioni ed agnizioni le
quali finiscono poi per ridursi a frasi deffetto, lacerti di poesia, giochi di
prestigio, funambolismi di parole: "costellazioni di eventualità" onde
illuminare una prosa forse eccessivamente pretenziosa nel suo sforzo di esplicare (sia
pure in modo allusivo e metaforico) linesplicabilità della City: della vita,
insomma.
Francesco Roat |