Dai, andiamo al cinema a vedere la tv
Da Truman Show a Pleasantville, da Ed Tv
a Celebrity: fra satira e ironia il grande schermo riscopre i misteri (e i pericoli) del
rapporto fra la vita delle persone e la televisione. Con i suoi miti fragili, le privacy
violate e i cattivi modelli che in questa seconda metà del secolo hanno influenzato
intere generazioni
Il successo planetario di Truman Show di Peter
Weir ha fatto sì che il cinema internazionale andasse a riscoprire e ad indagare le
radici del rapporto tra la vita delle persone e la televisione. E ci voleva proprio un
talento come quello del regista australiano per fare in modo che molti autori e cineasti
esplorassero il legame che unisce la società moderna alla tv, visto che questultima
oltre a costituire la cartina di tornasole per tutti i vizi e le virtù della modernità
è anche la destinazione ultima del novanta per cento della produzione cinematografica.
Una satira corrosiva e irriverente, quella di Weir, che non si fa
troppe illusioni riguardo lefficacia della sua denuncia : "Nonostante
il grande entusiasmo da parte del pubblico nei confronti del mio film, temo che -
qualsiasi cosa io pensi - nessuno abbia davvero intenzione di ascoltarmi. Una cosa
impressionante della gente che fa televisione è il suo enorme potere che opera scelte
solo in funzione dei soldi. Non so cosa possa accadere in futuro. Laspetto che mi
interessava di più era mettere in mostra quanto la televisione faccia venire meno il
confine tra le cose false e la verità. Ognuno di noi cerca la verità e si trova a che
fare con una società che tenta in tutte le maniere di distorcerla".
Un problema molto sentito soprattutto negli Stati Uniti
dove le centinaia di stazioni televisive hanno contribuito a creare una moderna mitologia.
Una nazione giovane con poca storia, dove milioni di tubi catodici hanno dato vita alla
formazione di una comune memoria televisiva in cui la stratificazione di serie tv, prima
in bianco e nero e poi a colori, hanno accompagnato lAmerica negli ultimi cinquanta
anni. Modi di pensare, interessi, gusti e perfino modi di agire si sono influenzati
vicendevolmente grazie allo strettissimo rapporto tra lesistenza di tutti i giorni e
televisione.
In Pleasantville di Gary Ross si
affronta per esempio il tema di un giovane che si rifugia mentalmente in una rassicurante sit
com degli anni Cinquanta pur di sfuggire a un presente tuttaltro che allettante.
Finito per magia insieme alla sorella nella cittadina dei suoi sogni, scopre che la
perdita metaforica del Paradiso televisivo coincide con la fine di unetà
dellinnocenza, e linizio della consapevolezza che la vita reale è sempre
migliore di quella che si vive in tv. E - ironia della sorte - tocca proprio a un ex divo
televisivo continuare nel solco tracciato prima da Orson Welles e poi seguito via
via da tanti altri autori per essere ripreso alla fine dal millennio da Peter Weir. Ron
Howard, ex Ricky Cunningham di Happy Days, dopo i successi di Apollo 13 e
Ransom ha realizzato una commedia un po più allacqua di rose rispetto
a quella con Jim Carrey. Ed TV vede, infatti, il nuovo bello di Hollywood Matthew
McConaughey protagonista di una televisione che per ventiquattro ore al giorno
trasmette la sua vita. Una sorta di ennesima variazione post moderna sul tema del Faust di
Goethe per raccontare la storia di Ed anonimo commesso di un negozio di videocassette, che
accetta infatti di fare riprendere la sua esistenza per realizzare una sorta di continua
telenovela realistica dal vivo. E la consapevolezza che distingue il personaggio di Ed da
quello di Truman è fonte di una riflessione sullaspetto dellimportanza della privacy,
offrendo una divertente e preoccupante immagine della celebrità donata con facilità da
un mondo alla perenne ricerca di beniamini da idolatrare.
Qualcosa di molto vicino allultimo film di Woody
Allen Celebrity e alla recente pellicola con Eddie Murphy e Jeff
Goldblum Il genio, in cui si stigmatizza quanto sia facile diventare delle
celebrità, orientando e strumentalizzando i gusti, le idee e - dunque - i costumi di un
pubblico senza forti punti di riferimento. Temi molto sentiti da Ron Howard, privato
della spensieratezza della sua adolescenza dal successo del telefilm di cui era
protagonista insieme a Fonzie : "Sono cresciuto sotto i riflettori ed il mio
rapporto con i media si è evoluto con me. È strano, ma la celebrità e il successo non
sono la stessa cosa. Solo quando cresci impari a difenderti. Non sono mai potuto
andare a Disneyland fino a quando sono diventato adulto e ancora adesso mi domando di che
cosa sono stato defraudato, se in cambio ho avuto quello che tutti quanti cercano." Come
disse una volta Groucho Marx "La Tv è la giungla del nostro secolo" e
possiamo stare sicuri che molti altri cineasti - anche grazie al miraggio del successo di
questi film - percorreranno ben presto i sentieri di questa moderna foresta tenendo ben
presente la celebre frase di Woody Allen secondo cui nella modernità "la vita non
imita larte, ma la cattiva televisione..."
Marco Spagnoli |