Alzati Golem, e spegni la tv
Rivede, analizza e seziona personaggi,
riti e messaggi della televisione. Ora Gianluca Nicoletti, autore e voce di Golem,
programma radiofonico su RadioUno Rai, ha scritto anche un romanzo sul mondo folle che si
muove nel tubo catodico. In questa intervista a Nautilus spiega come si fa a vivere vicino
a quell'ambiente senza esserne assorbiti. "In fondo - dice - dietro la tv non c'è
nulla"
In pochi anni Gianluca Nicoletti, critico
televisivo e intelligente conoscitore dei costumi di una società in transizione come la
nostra, si è imposto allattenzione del grande pubblico come uno dei punti di
riferimento della post modernità italiana. La sua trasmissione radiofonica Golem
in onda dal martedì al venerdì su RadioUno Rai dopo il Gr1 delle 8.00 è una delle
più seguite della radio ed è amata, idolatrata e arricchita da un folto gruppo di
appassionati che amano definirsi Golemaniaci e che interagiscono con lautore via
posta elettronica. Ma Nicoletti non è solo un acuto analista della realtà mediatica dei
nostri giorni, è anche uno sperimentatore dalle passioni alchemiche che, insieme
all "hacker buono" Andrea Borgnino, ha portato a compimento il primo
tentativo di ibridazione tra Internet e Radio, creando un sito web (http://www.grr.rai.it/golem/index.asp)
che è diventato una zona franca di approfondimento dei temi trattati durante la
trasmissione radiofonica.
In attesa delle novità che Nicoletti sta preparando per
lautunno in cui la sua trasmissione riprenderà in diretta anche su Internet,
Mondadori ha pubblicato un romanzo intitolato Amen in cui Nicoletti si è divertito
sprezzantemente a raccontare le suggestioni e le debolezze del mondo della televisione,
riviste e spappolate alla luce di uninteressante stile narrativo che conferma
se ce ne fosse bisogno la genialità di questo lucido critico "dal multiforme
ingegno". In questa intervista esclusiva per Nautilus, Gianluca Nicoletti ci
parla della sua fatica letteraria con quel suo stile unico e quella particolarissima
franchezza autoironica che lo rendono fonte di ammirazione e ispirazione per tutti coloro
che si confrontano per lavoro, passione o semplice necessità con il mondo dei media.
Da dove è nata lispirazione per Amen ?
La Mondadori mi ha chiamato offrendomi un congruo assegno
per scrivere un romanzo. Non ero particolarmente entusiasta, ma quando mi fu detto che
sarebbe bastato che io scrivessi qualcosa sulle stesse corde di quello che dicevo alla
radio, perché già aveva un senso in sé, allora ho accettato. In realtà la traccia
fondamentale di Amen lavevo già scritta qualche anno fa. Lho ripresa e
rivista, infarcendola di finti spot pubblicitari per dare al lettore il medesimo senso di
spaesamento che prova chiunque che per vendere unopera del suo ingegno
deve metterci dentro la pubblicità. Amen è nato come metafora del suo contenuto.
Una scrittura che dà la stessa sensazione della visione televisiva. Un racconto
interrotto da altri sotto racconti o meta racconti che hanno la funzione di spezzarlo,
provocando un senso di grande fastidio. Una ripulsione di natura fisica verso la
frammentazione quotidiana cui ci siamo abituati tutti quanti.
Secondo unaltra ottica, invece, le pubblicità sono
lunico elemento interessante presente in Amen essendo la trama del romanzo
abbastanza banale e piuttosto prevedibile. Tra il momento in cui ho scritto questa trama e
il momento in cui è stata pubblicata, cè stato il film di Peter Weir The Truman
Show che ha reso il mio testo una specie di storia già vista. La mia è una scrittura
che assume i toni transeunti e passeggeri propri della letteratura televisiva. E
stato un esperimento che è nato dalla storia che lo ha determinato. Se la Mondadori non
mi avesse chiamato e pagato, probabilmente questo libro sarebbe stato molto diverso o non
ci sarebbe stato affatto. Personalmente mi esprimo meglio attraverso un microfono e grazie
allimprovvisazione verbale in cui mi riconosco poco dopo averla codificata dal punto
di vista testuale, perché non amo il manierismo di me stesso. Essendo perfettamente
consapevole che non avrei scritto qualcosa che sarebbe rimasto nellambito della
narrativa italiana, ho provato a sperimentare diversi livelli di lettura e di scrittura.
Un esperimento riuscito, dal mio punto di vista.
Il fatto che Amen sia nato come instant book sulla
scia di un enorme successo radiofonico non le ha fatto sentire qualche responsabilità nei
confronti dei lettori che avrebbero cercato nel testo le medesime suggestioni della sua
rubrica radiofonica?
Tutti quelli che hanno scritto del mio libro sono rimasti
delusi dicendo: "la radio è unaltra cosa!" . Grazie, questo lo sapevo
anche io prima di pubblicare il libro. La radio è la maniera che io ho scelto o che ha
scelto per me per dare voce a certi pensieri. La radio è forte, immediata e prende molto
di più di un libro. In un libro precedente avevo tentato in maniera scellerata
di travasare in forma letteraria ciò che dicevo via etere. Questi passaggi
impropri tolgono molto alla forza del messaggio. In questo senso, volendo creare qualcosa
di nuovo, la mia operazione è stata onesta. Mi dispiace per chi è rimasto deluso, ma io
ho tentato qualcosa di nuovo. Del resto Amen è stato sfortunato, perché è uscito
in concomitanza con la guerra. Un elemento che a parte rari casi di fortuna letteraria
come Baricco e Castagna, ha danneggiato fortemente la vendita dei libri.
Sono molto interessanti gli elementi biografici presenti
nel suo libro
Sono entrato in Rai dicendo che avevo uno zio arcivescovo.
Lho fatto perché non mi importava nulla di lavorare in Rai, avendo vinto un posto a
Barcellona nel locale istituto di cultura presso la cattedra di italianistica. Oggi sarei
ancora lì se nonostante avessi già preso la casa dove andare a vivere
prima di partire non fossi andato a un colloquio a Viale Mazzini. Venivo da Perugia e
arrivai in un arroventato pomeriggio destate con la stessa strafottenza del
provinciale che pensa di potere ridere di tutto e tutti. Dopo il colloquio con la
capostruttura radical chic, questa rimase impressionata e affascinata dal
provinciale naif assai diverso da tutti gli allievi di Asor Rosa che aveva
incontrato prima. Mi fu offerto un contratto, ma mi fu fatto anche capire che per
formalizzarlo ci voleva "una spintarella". Così mi inventai di avere uno zio
arcivescovo, facendo intravedere una finta lettera di raccomandazione con tanto di bollo
della curia. Quando il gioco fu scoperto, la capostruttura lo prese come un ulteriore
elemento di divertimento e di creatività. E anche vero che sono stato
caporalmaggiore delle trasmissioni dellesercito e che durante il militare mi sono
diplomato marconista. Ho preferito scrivere questo che parlare dei miei titoli. Il palazzo
della televisione ricorda chiaramente quello di Viale Mazzini raccontato con gli occhi di
come lo vedevo io: lumbro dalle radici contadine che si stupiva nel vedere questi
strani tizi affannarsi senza comprenderne lo scopo e gli intenti. Cosa che ho capito dopo
molti anni. Così ho ipotizzato una formula fondamentale: bisogna essere senza talenti per
avanzare nella gerarchia piramidale, totalmente inversa rispetto a ogni oggettiva
valutazione della realtà. Il capovolgimento di tutti i valori ha ispirato la mia
descrizione della piramide televisiva descritta in Amen.
Al di là dei nomi dei personaggi che possono ricordare
quelli di un pamphlet settecentesco, è impressionante notare come lei li presenti
al lettore con un misto di amarezza e ironia. Lo stesso modo simpatetico con cui
alla radio evidenzia magagne e debolezze della televisione e dei suoi
protagonisti
Tutti noi siamo complici di questo stato di cose.
Lironica amarezza è presente, ma io non voglio rifletterci sopra troppo, perché
altrimenti potrebbe diventare un manierismo che mi renderebbe schiavo. La mia visione del
mondo nasce dalla mia anima umbra abituata allo scherzo e al dileggio, dal doppio senso
pecoreccio, dallanima divisa tra preti e massoni che sono entità apparentemente
antitetiche e che eppure in una piccola comunità riescono ad andare a braccetto. Volendo
scavare ancora più nel profondo potrei anche pensare a unanima etrusca, ovvero a
volti sorridenti sul sepolcro e a grossi falli che sono sì simbolo di fertilità, ma
anche di oscena presa in giro per chi li guarda millenni dopo.
Il suo lavoro nasce dallibridizzazione di mezzi
tecnologici, ma anche dalla contaminazione di generi culturali. Non crede che questa sia
la grande forza alla base della sua esperienza critica e mediatica?
Amen può essere letto a vari livelli e io
personalmente rifiuto lidea di venire definito come una persona colta. I miei studi
liceali e universitari hanno visto la furbizia e lastuzia strategica prevalere sulla
preparazione. Ho la fortuna di avere una memoria attiva che rielabora e rimacina in
maniera inconsapevole. E un dono medianico, più che mediatico.
In una società senza memoria come la nostra, lei non
crede, invece, di dare spazio a delle idee che rifiutano coloro che si limitano
semplicemente a scrivere sulla sabbia?
Analizzo una non scrittura come quella televisiva e
radiofonica "scritta sulla sabbia", creando dei meta significati e degli iper
significati su cui fondo il mio pensiero. Il mio lavoro è apparentemente quello di
scavare in un mezzo che è pura immanenza, privo di qualsiasi trascendenza. Dietro la
televisione non cè nulla. Chi individua qualcosa lo fa come me solo
per inventarsi dei discorsi da fare. Dentro lo schermo piatto noi cerchiamo solo noi
stessi. Noi siamo la nostra matrice del nostro pensiero.
La televisione ha creato delle moderne mitologie. Questa
la riflessione di film come The Truman Show, Ed Tv e Pleasantville. Esiste
quindi un rapporto tra sacro e televisione. Lei non crede di essere stato in fondo il
primo a esplorare questo aspetto mistico della tv? Il primo agiografo della mistica della
celebrità
Potrebbe essere. Dipende dai vari percorsi di lettura del
mio lavoro. Del resto io ho studiato dai preti e sono laureato in lingua e letteratura
spagnola, quindi so di cosa parlo quando parlo della mistica carmelitana con i suoi monti
da scalare come fonte di conoscenza e degli alberi della conoscenza che si ramifica. Più
si va avanti, più ci si avvicina alla conoscenza. Proprio come capita alle file di sedie
del Costanzo Show. Gli eletti sono quelli più vicini al palcoscenico. Quasi simili a
quelli che vi sono sopra. La televisione è una moderna teogonia con tutti i suoi santi e
tutti i suoi dannati. Il mio limite è quello di avere preso sotto gamba la semiotica e
gli strutturalisti.
Oggi la critica a tutti i livelli (musicale,
cinematografica, letteraria, televisiva) è profondamente collusa con gli ambienti verso i
quali dovrebbe mantenere una certa integrità. Lei, invece, in maniera cosmologica separa
ordinatamente il suo lavoro dallattrazione verso il caos televisivo
Anche io faccio qualche irruzione in televisione. Per
conoscerla e non per entrare nel mezzo. Mi dà fastidio fare televisione. Non ho piacere
di rivedermi in tv e considero queste mie incursioni come unoperazione di
disciplina. Mi dà molta più soddisfazione la fama ricevuta dalla radio. Odio la
notorietà senza talento che può dare la televisione. In qualsiasi altro campo uno
qualche minimo requisito deve averlo. In tv no. Per quanto riguarda i critici italiani,
vorrebbero fare televisione, ma temono di non esserne capaci. Io entro volentieri, invece,
nella televisione a patto che siano solo passaggi sporadici. È come entrare dalla
finestra nella camera di una donna, e dopo esserti sollazzato, scappare via, voltandosi a
vedere le reazioni del marito o del fidanzato. Un atteggiamento vitale, dirompente, quasi
guerresco nei confronti del mezzo, consente una maggiore comprensione di quello che si fa.
Io sono un artigiano. Devo avere un'esperienza reale, tattile. Per la mia home page Rai ho
incominciato a studiare da solo cosa fare, poi ho chiamato dei collaboratori. Ho bisogno
di un contatto epidermico che passi attraverso un'esperienza corporea di qualsiasi cosa
faccio.
Lei, però, fa una vita molto riservata
Ho una moglie e due figli piccoli. Come potrei fare
altrimenti?! In quei rari casi in cui mi sacrifico ad andare a feste e cene non so mai
cosa dire alle persone, né dove tenere le mani. Non amo vedere la gente. Mi piace stare
solo e a stento sopporto la mia famiglia. A parte qualche amico non penso mai uscire per
vedere qualcuno. Mi sento forte davanti a un microfono. Nelle altre situazioni mi sento a
disagio. E la mia nevrosi.
Non crede che questa sia anche un po la sua forza?
Sarebbe una forza se nutrissi un desiderio di ascesi. Non
devo rendere conto a nessuno. Non devo fare lamicone con nessuno.
Una garanzia di cattiveria per il suo pubblico?
Ma quando mai sono stato cattivo! Quello che vedo in tv non
è la realtà. Sono solo ectoplasmi e le mie sono le parole di un medium. So bene che
Frizzi o Mara Venier se mi incontrano mi menano, ma io non critico loro, bensì la loro
immagine ad essi rubata dal tubo catodico.
Una domanda alla Marzullo: è peggio essere picchiati o
ignorati da chi si critica?
Sicuramente essere menati.
Marco Spagnoli |