Le realtà impossibili di Philip K.
Dick
E' considerato
uno dei maggiori narratori americani del secolo. Ed è l'autore del libro da cui è stato
tratto uno dei più famosi film di fantascienza, Blade Runner. Ora Sellerio ripropone di
Philip K. Dick due romanzi futuristici con lo stesso tema centrale: il mondo in cui
viviamo potrebbe non essere quello vero
Philip K. Dick, Tempo fuori luogo,
Sellerio, pp.309, L.15.000
Philip K. Dick, chi era costui?
Dubito che molti italiani tra coloro che hanno visto il celebre film di Ridley Scott, Blade
Runner, conoscano il nome dellimmaginifico ideatore del racconto di fantascienza
(Cacciatore di androidi, Editrice Nord) da cui il film è stato tratto. Eppure
Philip K. Dick, nato a Chicago nel 1928 e morto in California nel 1982 è considerato una
delle figure maggiormente significative tra i narratori statunitensi del secolo. Autore
assai prolifico, ha scritto qualcosa come più dun centinaio di racconti, oltre
quaranta romanzi, per non parlare del resto della sua sterminata produzione: fra saggi di
vario genere, diari, quaderni di confessioni. Va dunque accolta senzaltro
favorevolmente la riproposta da parte di Sellerio di due romanzi del Nostro: Le tre
stimmate di Palmer Eldritch e Tempo fuori luogo.
The Three Stigmata of Palmer Eldritch
(1964), come ha sottolineato Angelo Barbato in una nota ad una precedente edizione del
libro "è uno dei romanzi in cui le tematiche complesse e ramificate che attraversano
la sua opera, in stretta connessione con elementi autobiografici, sono forse rappresentate
in modo più coerente fino alle estreme conseguenze". E infatti il problema
della dipendenza dalle sostanze psicotrope in parole povere dalla droga a
costituire il nocciolo di questo testo esemplare, che ci proietta in un futuro dove uomini
inviati a colonizzare Marte riescono a sopravvivere solo facendo uso di droghe che non
solo stravolgono la percezione del reale, ma rendono possibile una realtà diversa e
inquietante. Va ricordato a tale proposito come per Philip Dick (il quale conobbe la
tossicodipendenza) uno dei temi, o si potrebbe forse meglio affermare una delle
ossessioni, più o meno presente in quasi tutte le sue opere è costituita dal rovello di
chi, posto di fronte alla cosiddetta realtà, non può fare a meno di coglierla come
equivocamente ingannevole e illusoria, benché a tratti in essa si aprano spiragli
rivelatori ma solo se si sappia penetrarli con occhio attento di una
dimensione altra, che talvolta assume valenze perturbanti, talvolta metafisiche.
Anche in Tempo fuori luogo il dubbio
che il mondo non sia quello che sembra si presenta a Reagle uomo senza qualità,
che tira a campare risolvendo i quiz a premi di un giornale quando prende a
riflettere sulla sua vita, a tutta prima rassicurante in una piccola cittadina di
provincia americana, dove le giornate trascorrono tra la routine del lavoro e le soste al
supermercato, intervallate solo da pause domenicali consumate a lavare lautomobile o
preparare il barbecue. Cè tuttavia qualcosa fuori luogo, che appare di
quando in quando al protagonista. Piccoli particolari che non collimano, sfasature che
incrinando il rassicurante tran tran fanno precipitare Reagle in un crescendo di paranoia,
quando egli si convince che: "la nostra realtà è tra le parole, non tra le
cose".
Ma a questo punto, per non togliere al
lettore il piacere di scoprire da sé cosa si cela dietro tale alienazione, ritengo
superfluo insistere con il prosieguo di questa vicenda allinsegna di un gigantesco
complotto perpetrato allo scopo di nascondere al nostro uomo qualunque una verità forse
intollerabile. Fuor di metafora, comunque: se il nostro mondo dovesse mai davvero
limitarsi ad hamburger surgelati, code in auto, consumi voluttuari, Coca Cola e
pettegolezzi alla Peyton Place, ben venga lalienazione a farci rifiutare questa realtà
impossibile.
Francesco Roat |