E come ali delle bucce di
banana
Essere sospesi,
sentirsi destinati ad abitare un interstizio fra la terra e il cielo. Ecco la condizione,
o meglio vocazione, che accomuna i protagonisti dellultimo libro di Nico Orengo. Un
racconto diviso fra realismo e magia della parola
Nico Orengo, Lospite celeste,
Einaudi, pp.131, L.24.000
Essere sospesi, sentirsi
destinati ad una-topia, ad abitare un interstizio fra la terra e il cielo. Ecco la
condizione, o meglio vocazione, che accomuna i protagonisti dellultimo libro di
Orengo, sempre in bilico fra la gravità/grevità delle umane passioni e un altrove che
più oltre non si può: fatto di sogni, presenze angeliche e stelle eteriche.
Cè Miro, il ragazzo che - munito di
ali fatte con bucce di banane - spicca un impossibile volo incontro alla sua dea
(Josephine Baker) e finisce per cadere precipitevolissimevolmente al suolo riducendosi a
un "fagotto con due occhi che sanno piangere". Cè sua sorella Clementina,
alla ricerca del cranio dun mitico elefante di Annibale, pronta a gettarsi tra le
braccia di tutti pur di evitare il rischio dellamore. Ci sono i "Mutus
Liber": Tiziana, Rosario e Paolo (lui, veramente, è morto da un po): timidi
ermetici alla ricerca dellinvisibile oltre il qui e ora di materia e caducità. Ci
sono gli astronomi Tyco Brahe, Keplero e Gian Domenico Cassini, metà scienziati e metà
esoteristi, che nella volta celeste vorrebbero trovare la stella a cui orientare
lastrolabio dellanima. Cè infine e soprattutto la Liguria, oltre ai
molteplici ambiti della terra e del cielo che questo eccentrico romanzo attraversa: dai
satelliti di Saturno agli aeroplani fatti con piume duccello per librarsi
nellimmaginario; da Praga a Torino, magiche entrambe. La riviera ligure, tanto cara
allo scrittore: paesaggio naturale fisicissimo ma insieme luogo della memoria,
dellaffabulazione e del cuore, fatto di ricordi, sensazioni, colori e profumi che la
freschezza della prosa di Orengo riesce ad evocare con tal pregnanza iconico/espressiva da
far cogliere quasi visivamente al lettore il "precipitare di olivi, fichi e vigne e
limoni, roveti rossi e rosmarini viola" sulla costa fra Savona e Sanremo; quasi
olfattivamente "i profumi che venivano dalle coltivazioni di garofani e limoni vicino
agli ulivi di Mentone".
Sì, perché le operazioni alchemiche a cui
accenna lOspite celeste sono appunto il risultato della contaminazione fra
elementi di terra e firmamento. Così gli antichi mortai che conobbero la frantumazione
derbe, spezie e carni possono venir qui trasmutati in "volte e cupole di
cielo" con cui catturare squarci deternità, o di poesia, visto che in ciò sta
forse il messaggio sotteso a questo insolito libretto (e uso tale parola nel senso
affettuoso del termine): far scaturire tra le righe di storie verosimil-fantastiche un
metaforico stupore per lumana condizione esistenziale di esseri che, pur
corporalmente ancorati alla terra, mai smettono di figurarsi utopie o metafisiche,
anelando a spiccare sempre e comunque il volo verso una modalità altra da quella
consuetudinaria. In una sete di oltre, esemplificato non a caso attraverso la
navigazione post-moderna nelluniverso virtuale di Internet, che Miro utilizza poi
solo per evadere dal suo corpo senza più né gambe né ali.
Ancora una volta dunque questo racconto è
abilmente sospeso fra realismo e magia della parola. Una parola allusiva che senza
mai essere banalmente sapienziale o saccente apre spiragli stranianti di significazioni ed
emozioni sempre al limite del dicibile stesso. Come a Fuencaliente, dove tra luci ed
ombre, fra abisso e terraferma la notte accesa da un faro mostra allincrocio degli
oceani la visione-simbolo d"una cucitura che si perdeva verso lorizzonte
per prendere poi una corrente di cielo".
Francesco Roat |