Vicenza sabato 20
maggio 2000. Teatro Astra – La Piccionaia
“Marcel
Duchamp. Tragedia dell’arte” di Giorgio Fabbris
Un
lavoro intelligente, un vero d’après
Duchamp in cui è presente, tradotto in termini teatrali e persino
attualizzato, tutto il senso (e il nonsenso) dell’arte di Duchamp.
Del resto chi più di questo grande artista francese si sarebbe
prestato ad “essere interpretato” sulla scena, lui per il quale
Dada fu il modo di considerare non solo l’arte ma anche
l’esistenza?. Nella rappresentazione di Fabbris il compendio
duchampiano è suggestivo e ben espresso: dallo straordinario effetto
scenico del “Grande Vetro” nel quale si riassume tutta la durata
di un’opera portata nel corso di molti anni ad un seducente “stato
di incompiutezza” e che, con la sua trasparenza, fornisce inoltre un
prezioso orizzonte ultra-scenico al di là del quale si muove un altro
mondo; alle citazioni della Ruota di bicicletta, del Nudo
che scende una scala, il cui movimento reiterato è riprodotto
come in una sequenza filmica, de La
mariée mise à nu par ces célibataires, même.
L’aver
dato movimento (assurdo, senza direzione definita), musica (alcuni
pezzi extravaganti eseguiti davvero in modo speciale) e voce alle
opere di Duchamp offre un’interpretazione particolarmente aderente a
quello che fu il suo pensiero di gran maestro dell’esemplarità del
gesto e accentua il senso metaforico della frammentazione della realtà
che egli stesso proponeva.
Forse
l’unica presenza stilisticamente non del tutto coerente
all’andamento della pièce risulta essere quella di Peggy Guggenheim
con i suoi cagnolini, eccessivamente bozzettistica, anche se di sicura
presa.
Di
particolare effetto icastico le scene in cui le brave Irene Pedrollo e
Miranda Cortes condividono il palcoscenico con gli attori, con le
danzatrici e con gli “stampi maschi” impegnati in
micro-performance in luoghi apparentemente separati della scena.. La
capacità di coesione della compagnia, inclusi i musicisti che, pur
nella loro posizione appartata, rinforzano la sensazione del
“passaggio” temporale tra le due parti del palco divise dal vetro,
moltiplica l’efficacia dell’ideazione di Fabbris.
Insomma,
in questo lavoro, i suggerimenti di Duchamp rimangono al posto che
compete loro, cioè al centro delle riflessioni sull’arte, e
mantengono inalterato, anzi consolidano, la loro capacità critica di
rottura.
g.g. |