Artisti a Vicenza
PAOLA
ROMANZINI – Gli argini della forma
Paola Romanzini è una scultrice che ha vissuto
pochissimo la dimensione pubblica del suo lavoro, pur lavorando
intensamente, fino ad oggi, da quindici anni. La sua formazione fa
capo a quella ormai poco frequentata scuola degli autodidatti, la più
faticosa e quella che offre gli esiti più incerti che obbliga a
percorrere da soli e sempre in salita i gradini di un’esperienza che
ha radici remote. Anche se certamente ha giovato alla Romanzini la
frequentazione dello studio di Nereo Quagliato, dove, come afferma lei
stessa, ha avuto la possibilità di “respirare” la vita
dell’atelier, il rapporto con l’affermato scultore si configura
maggiormente come una relazione amicale piuttosto che come un alunnato.
Del resto a intridere con grande evidenza le terrecotte di Paola
Romanzini è tutta la tradizione neo-figurativa plastica dei primi del
Novecento, italiana e non. Da Marino Marini, a Giacometti a Arturo
Martini, fino a Minguzzi, a Moore, a Manzù.
Nell’impasto vigoroso dell’argilla vi sono
mescolati motivi classici e forme al limite dell’astrazione,
simbolismi surreali e ritratti dal forte accento espressivo. Il tutto
in una sintesi che raggiunge quasi sempre una solida coerenza e una
grande autonomia della forma plastica. I contributi personali della
Romanzini alla storia della
scultura si avvalgono di una carica istintiva
assai convincente, non inquinata da compiacimenti superflui, e,
nello stesso tempo, colta e raffinata. La scelta del figurativo,
rispetto alle istanze di ricerca contemporanea volte all’astrazione
e al minimalismo, non costituisce, in realtà una scelta: stando alle
affermazioni della stessa Romanzini, l’importante è che “i conti
tornino”. Che poi la figura rappresenti un ben riconoscibile corpo
di donna piuttosto che una forma che si articola muta e senza nome
nello spazio, il lavoro dell’artista è identico. In ogni
circostanza in cui l’argilla, l’acqua e lo scultore si incontrano,
la luce permea la materia, i pieni e i vuoti giocano i loro rapporti,
l’equilibrio della composizione tende ai suoi limiti e la scultura
diviene opera d’arte nella misura in cui i ruoli e le funzioni di
questi elementi dialogano tra loro nella pienezza delle loro
possibilità, fino a raggiungere quella sintesi che costituisce un
linguaggio espresso nella sua onnipotenza semantica
e un richiamo all’anima e ai sensi di qualsiasi persona sia
dotata di un minimo di permeabilità al lessico dell’arte.
In tal senso c’è una sapienza innata,
nell’opera di Paola Romanzini, che si mescola con una ineludibile
necessità di fare, di plasmare una terra che da greve, diventa
leggera e si anima, da inerte che era nel suo stato originario, di una
vita intensa, sofferente o felice dipende, persino priva,
apparentemente, di un qualunque progetto. Il progetto “a priori”
anche se certo non può mancare all’interno di un’opera che sta
per compiersi, spesso rimane nascosto a lungo, fino all’ultimo,
prima di manifestarsi alle stesse mani dell’artista per suggerire
loro il percorso da dare o quale possibilità offrire alla nascita di
una forma.
G.G. |