 Nordest, il miracolo senza humor
In 40 anni nel
Triveneto passato dalla povertà alla ricchezza il tempo, come nel proverbio, è diventato
veramente denaro. A tal punto che secondo il sociologo Ilvo Diamanti è scomparso lo
spazio per la risata collettiva. Mentre l'Italia, da Napoli a Firenze fino a Milano,
produce i Benigni e i Pieraccioni, i Paolo Rossi e i Carlo Verdone. La colpa?
Dell'economia. Che ha invaso la vita privata e tolto il sorriso
Inchiodati a scranni e scrivanie, ribaditi
ai torni e alle frese, i veneti ridono assai di rado. Per meglio dire: non è che una sana
risata sia del tutto esclusa dalla loro quotidiana esperienza, se col riso intendiamo
l’elementare fenomeno di relazione interpersonale nel quale ogni tanto incoccia anche
il più indefesso degli indefessi lavoratori veneti. Neppure ad uomini dei giorni feriali,
chiaramente, è concesso di non ridere nel senso privato e concreto del termine.
Ma i veneti non ridono mai in un altro
senso. Che non esistono artisti in grado di sublimare in una risata pubblica, spettacolare
e liberatoria la complessiva esperienza sociale di questa parte d’Italia. Sembrerebbe
una riflessione in libertà, se su un argomento tanto aleatorio quanto sintomatico di una
situazione complessiva non fosse di recente intervenuto, sul Gazzettino, uno studioso di
vaglia come Ilvo Diamanti. Il quale, a sua volta, richiamava una riflessione di Alberto
Asor Rosa sul "primato" territoriale della risata in Italia. A chi spetta, oggi,
questo primato? Alla Toscana di Benigni e Pieraccioni, sembrerebbe. Ma i napoletani se ne
sono avuti a male, ed anche i milanesi di questi tempi avrebbero qualcosa da dire in
materia. I romani, poi....
Gli unici che non possano accampare
meritorie benemerenze in fatto di risate, sostiene Diamanti, sono proprio i veneti. Che di
se stessi non ridono mai, e neppure sorridono. Che invece si propongono alle altre
identità territoriali italiane con l’espressione rivendicativa, e quindi arcigna, di
chi si sente in credito nei confronti di tutti. Su questo sostanziale complesso di
inferiorità, a tutti è permessa una riflessione. Se non altro per il fatto che la risata
pubblica e nobilitata in arte, quando esiste e quando – come nel nostro caso –
non esiste, è un patrimonio collettivo: come sono patrimoni collettivi i Roberto Benigni
e i Leonardo Pieraccioni, i Paolo Rossi e gli Antonio Albanese, i Massimo Troisi o i Carlo
Verdone.
E allora, andando al punto, perché i
veneti non ridono? Le ragioni possono essere moltissime, e lo stesso Diamanti ne elencava
alcune, fra cui proprio quell’atteggiamento rivendicativo verso l’esterno nel
quale molti veneti oggi si riconoscono. Ma poi c’è un'altra ragione, forse, sulla
quale è giusto mettere l’accento. Gli è che forse, nel Veneto, il modo nel quale
l’economia è andata sviluppandosi negli ultimi 30 anni ha una particolarità. Qui
una persona su sette, secondo le statistiche, si è messa in proprio: chi ha aperto la
fabbrichetta, chi viaggia il mondo con la valigia del campionario in mano, chi ha lasciato
la vita da lavoratore dipendente avviando una propria attività. Questo sviluppo ha avuto
un forte carattere diffusivo sul territorio. Ed ecco quel via vai fra i capannoni del
tessuto "rur-urbano" veneto e le abitazioni private di artigiani e padroncini,
un fenomeno che ha assottigliato sensibilmente il confine fra le vite private degli
imprenditori e le loro vite professionali.
In poche parole: qui c’è osmosi fra
economia e società, un’osmosi tanto spinta che l’economia alimenta società e
la società alimenta l’economia. Con modalità pervasive, assolute, totalitarie. Di
qui il dubbio di fondo: l’economia è capace di ridere?
Maurizio Caiaffa
(direttore di Nordest Europa) |