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 Ammanettate quel server

 Per la prima volta Italia un magistrato (vicentino) mette sotto sequestro il computer di un provider. Motivo: un messaggio on line che ha provocato una querela. Ecco cosa è successo veramente, e perché si è arrivati a bloccare le comunicazioni di decine di utenti incolpevoli. Confermando che è l'ora di mettere un po' d'ordine sulla Rete dove le regole normali non funzionano

Non ci sono precedenti. Non c'è materia giuridica a cui fare riferimento. Qualche esempio, qualche episodio simile nel passato? Niente da fare. Così per la prima volta in Italia una querela per diffamazione su Internet ha creato il caos. Pericoloso, visto che per 5 giorni è stato sequestrato dalla magistratura un intero server, quello dell'associazione no-profit milanese "Isola nella Rete". A conferma che è l'ora di mettere un po' di ordine in una mondo, quello del world wide web, dove non si possono applicare le regole normali.

Intanto la vicenda in sintesi: nel gennaio scorso il collettivo vicentino di estrema sinistra "Spartakus" mette in Rete un messaggio di solidarietà al popolo kurdo. Dove tra l'altro invita a boicottare l'agenzia di viaggi "Turban Italia srl", sospettata di essere legata economicamente all'ex premier turco Tansu Ciller. La Turban si infuria e querela. Il pubblico ministero competente è Paolo Pecori, procuratore della pretura di Vicenza. Che sabato scorso manda la polizia postale nella sede che ospita il server, la "Ds Logic" di Bologna (che fa il cosiddetto "hosting", cioè dà ospitalità nei suoi locali al computer di terzi ma non lo gestisce). Primo risultato (diretto): spina staccata alla macchina e server portato via sotto sequestro. Secondo risultato (indiretto) : bloccate le comunicazioni e le pagine web di un centinaio di associazioni che usavano lo spazio offerto dall'Isola nella Rete.

Orrore. Su Internet è quasi sollevazione popolare: compaiono banner anti-sequestro un po' dappertutto, ne parlano agenzie e giornali on line e anche su carta. Il precedente infatti è da shock: se a ogni querela per diffamazione sulla Rete si arriva a sigillare il server, è la paura, siamo alla censura stile Repubblica delle Banane o peggio. Che è poi la posizione dell'avvocato e vicepresidente della Alcei (associazione per la libertà della comunicazione elettronica interattiva), Luca De Grazia: "Capisco il server fosse stato rubato. Ma in questo caso la chiusura è inaccettabile e inutile, dato che sospende semplici informazioni e in più lede un diritto fondamentale della persona".

Ma è possibile che un magistrato abbia deciso così tranquillamente di bloccare un computer che collega centinaia di persone? "Ma no, ci mancherebbe - spiega il procuratore Paolo Pecori - Non sarebbe mai successo se il provider non avesse detto di no quando abbiamo chiesto di togliere quella pagina sotto accusa. Così siamo stati costretti al sequestro del computer. Ora però il responsabile dell'Isola nella rete ci ha assicurato che farà lui la cancellazione. Quindi abbiamo dissequestrato la macchina. E' la prima volta che succede in Italia? Lo so, infatti manca una normativa di riferimento...".

Tutto risolto, allora? Tecnicamente si: il server torna in funzione e la querela procederà per conto suo in tribunale. Ma Sandro Moretti, responsabile amministrativo dell'Isola nella Rete ha una visione diversa della vicenda. "Noi rifiutato di togliere la pagina incriminata? Non è vero. Le cose stanno così: sabato mattina mi chiamano dalla Ds Logic, "guarda che qui c'è la polizia, vogliono sequestrare il server". Parlo con l'ispettore, che tra l'altro di Internet se ne intendeva. Comunque io dico che va bene, che tolgo la pagina in questione e lui da Bologna potrà vedere che non c'è più. Però vuole una dichiarazione scritta che impegna l'Isola nella Rete a non ripubblicare il messaggio". In più la polizia ha un problema: vuole essere sicura che il messaggio resti a disposizione dell'autorità giudiziaria. Insomma non venga fatto sparire definitivamente (addio prova...), cosa impossibile ad esempio per un giornale su carta. "A quel punto decidiamo di risentirci dopo 10 minuti - dice Moretti - Io per consultare il mio avvocato, la polizia per farsi dare l'ok dal magistrato. Solo che quando richiamo, dopo quei dieci minuti, alla Ds mi dicono che il computer è già stato staccato e portato via...".

Insomma se le cose sono andate così, qualcosa non ha funzionato. Continua Moretti: "Quando sono andato a parlare con Pecori ha ammesso che non sapeva bene come fare. Al punto che mi ha chiesto "come si fa a sequestrare una pagina html?". Ho spiegato al magistrato che, onestamente, è impossibile bloccare un mailing list aperta come questa. La stessa cosa che avevamo detto anche alla Turban Italia quando, mesi fa, ci avevano chiesto di rimuovere il testo. Però avevamo proposto una soluzione: rispondete al messaggio, ve lo pubblichiamo".

Invece si è arrivati alle manette al server. Forse perché di fronte alla impossibilità di garantire che la pagina non sarebbe ricomparsa, e in mancanza di altre situazioni simili, gli agenti non se la sono sentita di "rischiare". Inconprensioni o meno, paradossalmente adesso che il computer è stato rimesso in libertà a Sandro Moretti quasi quasi dispiace: "Si, è tutto a posto. Ma in fondo se fossimo arrivati in tribunale poteva essere un precedente, un argomento di discussione". Come dire alla prossima. Visto che ogni magistrato, finché non ci saranno regole valide per tutti, andrà per tentativi. L'ergastolo, comunque, i server non lo rischiano: è stato abolito.

Alessandro Mognon

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