Sala, ritorno al
futuro
Già sindaco negli anni '60, in
piena era democristiana, Giorgio Sala ricompatta il centro sinistra e torna a candidarsi
per la guida di palazzo Trissino. Con due assi nella manica: la grande esperienza
amministrativa e la mancanza di ambizioni personali. "Dalla politica non mi aspetto
più nulla - dice - oramai ho solo da dare". Mediatore per vocazione, ecco cosa
propone alla città per affrontare il salto nel 2000
E' uscito dal cappello a cilindro della politica vicentina.
Cappello magari un po' polveroso, ma lui è pronto a rimettersi in gioco senza
risparmiarsi. Anche perché l'alternativa era un centrosinistra diviso e sicuro perdente
davanti alle truppe di Polo, Lega e forse della neonata Liga di Comencini. Nasce da qui la
candidatura di Giorgio Sala, sindaco di Vicenza dalla metà degli anni '60 ai primi del
'70. Quando per le strade circolavano si e no qualche centinaio di Fiat 1100, la parola
inquinamento quasi manco esisteva e i supermercati si vedevano solo nei film americani. E
quando due elettori e mezzo su tre votavano Dc. Eppure quello di Sala è un ritorno che ha
fatto la differenza. Al punto che in pochi giorni ha incassato il si di Ulivo, Pds, Ppi,
Verdi, Movimento Nordest, Socialisti e Lista Bandini, improvvisamente riappacificati.
Il ritorno di Sala preoccupa gli avversari per almeno due
motivi: la sua è una figura morale integra (elemento non da poco, oggi) e come esperienza
amministrativa ha pochi rivali. In più, se vogliamo, piace ai cattolici. Così,
riunificati centro e sinistra dopo l'onorevole tentativo della Lista Bandini, adesso il
ballottaggio con Polo, Lega o Liga (un'incognita: quanto prenderanno al Carroccio i
comenciniani?) diventa realtà. L'ostacolo? Qualcuno potrebbe vedere la sua età politica
come un handicap.
Senta Sala, perché tornare alla politica dopo tanti
anni? Cosa l'ha convinta a rimettersi in gioco, al di là delle solite frasi tipo
"per il bene della città"?
A parte il fatto che le solite frasi dicono il vero, potrei
rispondere così: ho capito che intorno al mio nome c'era un vasto schieramento, dal
centro alla sinistra. Un'unità anche progettuale. Poi è scattato anche il senso di
partecipazione, il senso del dovere. Insomma ho pensato che il momento era significativo
per due motivi: intanto poter gestire il passaggio generazionale sfruttando la mia
esperienza; in secondo luogo non nascondo che la città potrebbe essere, senza esaltazioni
da Terzo Millennio, pronta per nuove operazioni di rilancio su molti settori. Una nuova
immagine, ad esempio. O se vogliamo, riempire di contenuti una città che è stata
dichiarata patrimonio mondiale. Ma bisogna coalizzare una possibile maggioranza e
dialogare con l'opposizione. Compito per cui mi sento adatto, anche per la mia cultura
politica passata.
A proposito di maggioranza: come si mantiene in piedi
una coalizione così diversa e frammentata? Come mediare fra tante anime? Gli esempi
recenti non sembrano proprio confortanti: Prodi trombato da Rifondazione, a Vicenza la
stessa giunta Quaresimin...
Beh, dialogare e mediare fa parte della politica. E questo
non mi preoccupa per due motivi: perché proprio l'esperienza recente (il sindaco
Quaresimin abbandonato dai partiti della sua maggioranza: ndr) è stata dolorosa per
tutti. Ed è diventata una lezione per tutti. Secondo: la città ha patito perché non ha
capito. I cittadini si aspettano da chi li amministra che si comportino bene, e non
vogliono una riedizione di quanto successo a Quaresimin. Infine sono un uomo che non ha
nulla da aspettarsi dalla politica, oramai ho solo da dare. In fondo in queste elezioni
sono stato tirato per i capelli.
Nel programma della sua lista si parla di "sindaco
come figura di riferimento per i cittadini". Belle parole, ma cosa vuol dire nella
pratica?
Vuol dire che il sindaco deve diventare un soggetto
riconoscibile per la sua credibilità. E la gente da lui deve sentirsi rappresentata.
Prima accennava ai progetti di rilancio per Vicenza. In
che prospettiva? I grandi lavori per la città del 2000 o gestire e curare l'ordinario?
C'è una cosa che va detta: la città è sicuramente in una
fase di passaggio importante e delicata. Ma bisogna prima di tutto affrontare il problema
delle risorse. Quelle esistenti servono poco più che per la normale amministrazione,
bisogna pensare ad altre possibilità. Come l'incontro fra pubblico e privato. Il discorso
è questo: i poteri forti di una città possono partecipare ma solo sotto un Comune forte
che diventi guida. Quali sono i settori chiave? La grande viabilità, che significa
portare all'esterno il grande traffico. Vedi complanare, via Aldo Moro, la bretella per
Costabissara. E su questo ci vuole il contributo di tutti. Poi i contenitori: quel museo
d'Arte Moderna assieme ad un auditorium e alla sede dell'Associazione Industriali, ne può
nascere una sinergia. Ma anche l'ex macello, i chiostri di Santa Corona, la Biblioteca
Domenicana, San Biagio. Qualcosa riusciremo ad incassare dalle dismissioni delle aziende
municipalizzate. Resta il problema del teatro, ad esempio. E del tram: è vero che a
Padova ne parlano da anni, ma il progetto è fattibile. Il vero problema è riuscire ad
impostare il tema della tramvia in un riordino generale della viabilità, che passa solo
attraverso la verifica e la messa in pratica del Piano trasporti.
Sul problema extracomunitari e immigrazione il Polo
sembra puntare soprattutto su controlli e repressione contro microcriminalità e
abusivismo. Insomma prima la polizia, poi l'accoglienza. Lei va più sul sociale,
sull'educazione. Non è un rischio in una città che dà grandi consensi alla Lega e al
Polo?
Parlare di sociale è a rischio? No, caso mai è doveroso.
Il problema immigrazione interessa tutti i cittadini. Una città non è più sicura
perché ci sono frotte di poliziotti in giro, ma perché risolve i problemi. Come il
lavoro, la casa. Certo c'è anche la tranquillità, i controllo del territorio, il vigile
di quartiere, la prevenzione. Perfino le piccole cose contano: l'illuminazione alla sera,
un trasporto pubblico notturno efficiente. Ma assieme ai servizi sociali, all'accoglienza.
Esiste ancora un voto cattolico? O meglio: ha senso in
un' elezione puntare sui cattolici?
Non credo che si debba inseguire il voto dei cattolici, il
voto deve essere meritato. Può essere un voto di qualità, perché oltre che dei doveri
il cattolico si pone anche dei valori. Ma oggi è un elettore che si distribuisce un po'
dappertutto.
Se mai Giorgio Sala arriverà al ballottaggio, chi crede
sarà il suo avversario? Hullweck del Polo, la Carta Veller della Lega o Beggiato della
neonata Liga Veneta Repubblica?
Come avversario vedo Hullweck, soprattutto dopo la
spaccatura nella Lega.
Visto che si parla di Lega: il presidente della Lega
Nord, Stefano Stefani, ha detto che se si dovesse arrivare ad un ballottaggio
Sala-Beggiato chiederà ai leghisti di appoggiare lei. Un vantaggio o una compagnia
scomoda per il candidato del centrosinistra?
Ah, non so, io penso che i messaggi debbano essere chiari e
basta. Non ci devono essere versioni ambigue, bisogna parlare con chiarezza alla gente.
Sala, se dovesse ridiventare sindaco cosa farebbe come
prima cosa in assoluto?
In effetti una priorità assoluta ce l'ho: recuperare il
rapporto diretto con i cittadini. Questa è la prima cosa da fare.
a.m. |