Dei Fratelli Coen con Billy Bob Thornton e
Frances McDormand
La tematica esistenzialista proposta dal
titolo di questo ennesimo piccolo capolavoro di ironia e
di arguzia dei fratelli Joel e Etan Coen si inserisce
perfettamente nel contesto di una pellicola omaggio al
cinema in bianco e nero legato ai dischi volanti e di
tradimenti, affrontandoli alla luce del senso di
spaesamento del protagonista. Un uomo che – come barbiere
– è più esposto di altri dinanzi al bombardamento di
domande (più o meno intelligenti) riguardo l’esistenza.
Interpretato da un Billy Bob Thorton che definire
straordinario sarebbe riduttivo. Un noir
dall’impianto classico filtrato attraverso la voce off del
protagonista in un flusso di coscienza lucido e dalle
suggestioni surreali.
Behind the enemy lines {Sostituisci con chiocciola}
Di John Moore con Chris Owen, Gene Hackman
Storia di un pilota americano
catapultatosi dopo essere stato abbattuto sui cieli della
Bosnia, inseguito dai miliziani serbi per colpa di alcune
foto compromettenti il processo di pace, Behind the
enemy lines è una sgradevole pellicola alimentata da
una tronfia quanto cieca retorica militarista. Pieno di
luoghi comuni e con Gene Hackman in un ruolo minore,
questo film girato come un videoclip è l’ennesima
reiterazione della storia del soldato pasticcione che nel
momento del pericolo mostra di avere le qualità per cui è
stato addestrato. Nonostante le sequenze spettacolari
stile Top Gun, questo film è una collezione di
orrori fini a loro stessi senza alcun approfondimento
storico, né psicologico, con un montaggio demenziale dove
ogni dettaglio visivo è curato, mentre il tessuto
narrativo è abbandonato irrimediabilmente a se stesso.
Ti voglio bene Eugenio {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Di Francisco J. Fernandez con Giancarlo
Giannini, Giuliana De Sio
Eugenio è un uomo down, tranquillo,
affabile e sornione. Vive da solo nella sua splendida casa
immersa nella campagna e lavora come giardiniere. Su
richiesta del Professor Boselli accetta di raccontarsi a
Patrizia, una giovane donna incinta, tormentata
dall’incertezza di dare alla luce un figlio….come lui. Al
Centro traumatologico in cui svolge volontariato, Eugenio
deve occuparsi di Laura, appena uscita dal coma nel quale
era piombata in seguito ad un incidente stradale. Il
recupero della ragazza è prioritario per Elena,l’amica del
cuore di Eugenio, amata in segreto e senza speranze, che
ha lasciato il paese da adolescente per sposare un uomo
più grande di lei che l’aveva sedotta e dal quale
aspettava una figlia, Laura, appunto.
A Beautiful Mind {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Regia: Ron Howard; Sceneggiatura: Akiva
Goldsman tratta dal libro di Sylvia Nasar; Fotografia:
Roger Deakins; Montaggio: Mike Hill, Dan Hanley;
Scenografia: Wynn P.Thomas Costumi: Rita Rayck; Musica:
James Horner; Interpreti: Russell Crowe, Ed Harris,
Jennifer Connelly, Paul Bettany; Produzione: Brian Grazer;
Anno di produzione: USA - 2001 – Colore – 134 minuti
Non deve stupire la pioggia di
nominations su questo film che Ron Howard ha voluto
trarre liberamente dalla biografia del matematico John
Forbes Nash Jr. A beautiful mind, infatti, è un
film molto interessante perché, tramite un artificio,
rende lo spettatore partecipe delle manie e delle
ossessioni che hanno tormentato per tanti anni un
brillante matematico in grado di rivoluzionare in
giovanissima età la base della teoria economica moderna.
Interpretato da un Russell Crowe che ha saputo portare ad
un livello ancora più alto l’esperienza maturata prima con
Curtis Hanson, poi con Michael Mann per The Insider
e con Ridley Scott per Il gladiatore, questo film
precipita il pubblico nella voragine senza apparente
possibilità di ritorno, di un’ossessione che è figlia di
un’epoca: del terrore di un attacco sovietico a sorpresa,
della guerra di spie, dell’atmosfera della Guerra Fredda.
Pur non essendo del tutto fedele allo svolgimento dei
fatti, Ron Howard grazie ad una colonna sonora favolosa
(anch’essa candidata all’Oscar grazie al talento del suo
compositore James Horner) riesce a tessere una pellicola
che avvolge lo spettatore con le sue ossessioni, la sua
paura, la sua ricerca indefinita di speranza e amore.
Una pellicola dura, coinvolgente e
commovente in cui il pubblico è messo per la prima volta
dinanzi al dramma della malattia, visto sotto il profilo
di una normalità negata. In questo senso la bellezza
carismatica di Jennifer Connelly nei panni della giovane
moglie dello scienziato, costretta a sopportare le mattane
del marito, mandando avanti la vita della famiglia e
rinunciando alla propria è la sponda ideale per un
pubblico desideroso di intravedere una speranza per un
uomo di genio ridotto ai minimi termini dalla sua
schizofrenia e dalla sua ossessione per la Guerra Fredda.
A beautiful mind è un film che tutti gli
appassionati della fantascienza non potranno che amare,
perché nella malattia di Nash potranno leggere non solo i
riflessi di un’epoca, delle sue icone e letture, e di un
momento storico decisamente importante, ma soprattutto
perché potranno immergersi per la prima volta in una fuga
dalla realtà vista sotto il profilo del sogno e non dal
punto di vista clinico.
In questo senso A beautiful mind
merita il premio Oscar per il miglior film dell’anno: per
il coraggio narrativo del mutamento di prospettiva che –
per la prima volta- costringe lo spettatore ad uno stato
di allucinazione permanente, vedendo voci, persone e cose
nate sì dalla mente di un genio, ma non per questo meno
dolorose o più facili da superare. Un film sull’amore e
sul senso della salvezza che pur non essendo "perfetto",
seduce lo spettatore con la sua grazia disperata e il suo
senso di grande e vuoto dolore. Una regia di elevatissimo
livello per esaltare il cinema nella sua funzione sociale
e storica: quella di raccontare storie edificanti in grado
di rendere omaggio a persone fuori dal comune.
Mulholland Drive {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Naomi Watts – Laura Elen Harring – Justin
Theroux Sceneggiatura e Regia David Lynch Anno di
produzione USA 2001 Distribuzione 01 Durata 150’
C’era una volta il cinema noir di
cui Mulholland drive è evidentemente l’erede
postmoderno. Un film che per un’ora e quaranta è
addirittura esaltante e che – ad un certo punto – sembra
sfuggire di mano al suo regista in un calcolato delirio
onirico di onnipotenza autoriale. La storia – in apparenza
– è quella di una donna senza memoria in seguito ad un
incidente che, per caso, finisce per conoscere
un’aspirante attrice. Quest’ultima cerca di aiutarla a
venire a capo del suo passato in un intricatissimo
pasticcio hollywoodiano fatto di film che si vorrebbero
fare e di attrici che non si dovrebbero scegliere. Dopo
Una storia vera Lynch sceglie un’altra volta un
percorso irto di ostacoli, di rimandi e di citazioni
difficilmente decifrabili e più che mai aperti
all’interpretazione dello spettatore. Pur essendo una
storia di cinema nel cinema Mulholland drive che
prende nome dal viale di Hollywood dove si verifica
l’incidente, è anche un’immagine visionaria del cinema e
dei suoi "inghippi". Una pellicola complessa in cui Lynch
si concentra sulla bellezza carismatica delle due
protagoniste per realizzare un gioco di specchi
inquietante fatto di menzogne, ambiguità, paura e
lussuria. Una rincorsa di storie e situazioni e personaggi
enigmatici che si stagliano in un caleidoscopio a momenti
esaltante, in altri perfino tedioso dove tutto non è mai
davvero come appare e dove ogni cosa può rivelarsi per
essere una proiezione di qualcosa e di qualcun altro.
Mulholland drive nasce dalla stessa visione
dell’America e del cinema anti-glamour che percorre
l’estetica di tanti autori che vanno da Neil Labute a John
Waters. Il tocco magico di Lynch, sulla stessa sintonia
delle atmosfere agghiaccianti di X files diventa il
marchio di un cinema in grado di andare oltre, complesso e
artificioso, dove nulla è lasciato per scontato e dove
solo il singolo spettatore può azzardare una
personalissima e quantomai fallace interpretazione.
La rapina (3000 miles
to Graceland) {Sostituisci con chiocciola}
Kevin Costner – Kurt Russell – Courtney
Cox – Christian Slater Sceneggiatura e Regia Demian
Lichtenstein Anno di produzione USA 2001 Distribuzione
Medusa Durata 120’
C’è qualcosa di sorprendentemente
irritante in questo noiosissimo film incentrato su un
Kevin Costner "cattivo". La storia è fondata sul
canovaccio dell’ennesima rapina ad un Casinò di Las Vegas,
stavolta i ladri non sono "vestiti da stelle del cinema"
come in Ocean’s eleven, ma più prosaicamente sono
mascherati da Elvis Presley. Dopodiché si sa come vanno le
cose: quattro milioni di dollari danno un po’alla testa e
dopo una serie di litigi saltano fuori le pistole. Il
resto è un caos demenziale con un montaggio enfatico da
videoclip "sbarazzino" con un insopportabile Costner che
fa di tutto per sembrare uno psicopatico. Così tra pistole
a tutta randa, proiettili e – udite, udite – perfino
l’inserimento di un antipaticissimo bambino per rendere
"strappacuore" la trama, lo spettatore attende con
impazienza che trascorrano le due ore di durata di questa
pellicola al limite del demenziale. Tutti recitano male.
Perfino Kurt Russell che infierisce sullo spettatore pure
nei titoli di coda, scimmiottando in playback Elvis,
mentre Courtney Cox s’aggira strizzatissima in abiti di
due taglie più stretti in modo da evidenziare le sue
grazie. Un film inutile, scontato dall’inizio alla fine,
inverosimile, tutto giocato su un titolo originale che
dovrebbe trarre in inganno pubblico e poliziotti.
The Bank {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
David Wenham, Anthony La paglia, Sibylla
Budd Regia e Sceneggiatura Robert Connolly Anno di
produzione Australia - 2001 Distribuzione Fandango Durata
110’
"E’ più disonesto rapinare oppure
fondare una banca?" Recitava qualche anno fa il
manifesto pubblicitario di Ormai è fatta film che
il regista Enzo Monteleone aveva dedicato alle gesta del
bandito gentiluomo Horst Fantazzini interpretato da
Stefano Accorsi. Da quello che si vede in The
bank, thriller cyber tecnologico australiano in cui si
respirano non a caso le stesse atmosfere urbane di
Matrix sulla risposta non v’è alcun dubbio. Nell’era
della globalizzazione, del No Logo e del consumo
critico, questo piccolo film coprodotto da Domenico
Procacci e diretto da Robert Connolly rappresenta
un’interessante contaminazione tra il cinema dei legal
thrillers e le istanze di una società civile sempre
più sospettosa e diffidente del potere delle
corporations e dei loro guadagni smisurati e
virtualmente senza controllo.
In questo senso la storia del matematico
che ha trovato il modo per prevedere le crisi finanziarie,
oltre ad avere presumibilmente qualche fondamento
scientifico è tutta giocata sul dilemma morale di servire
una banca senza etica o di rimanere sfaccendati
nell’attendere che qualcuno (ma chi?) faccia qualcosa.
The bank è una pellicola molto
intrigante e interessante perché sposta il cinema
d’intrattenimento su un filone politico globalizzato che
ogni spettatore del mondo potrà riconoscere di interesse,
indipendentemente dalle sue idee politiche o dalle sue
scelte ideologiche. Il consumo critico, da un lato o
dall’altro degli schieramenti pro o contro globalizzazione,
può rappresentare, infatti, l’unica vera scelta politica
di matrice forte del ventunesimo secolo.
I perfetti innamorati (America’s
Sweethearts) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
John Cusack, Julia Roberts, Billy Crystal,
Catherine Zeta Jones, Christopher Walken, Hank Azaria,
Stanley Tucci Sceneggiatura Billy Crystal Anno di
produzione USA 2001 Regia Joe Roth Distribuzione IIF
Durata 100’
In una satira del mondo di Hollywood
poteva mancare la fantascienza? Certamente no. Ecco,
perché il film che si intravede, ovvero quello che di cui
teoricamente dovrebbero essere protagonisti gli attori
interpretati da John Cusack e Catherine Zeta Jones è una
pellicola fantascientifica sullo stile (ci sembra) di
Terminator con tanto di ebrei e nazisti coinvolti.
I perfetti innamorati con il suo gioco di cinema nel
cinema e i suoi rimandi continui alla realtà della
finzione è una pellicola divertente e geniale, cesellata
da un Billy Crystal attore – sceneggiatore in gran forma
per prendersi in gioco di vizi, stravizi e manie dei divi
che tanto amiamo.
Catherine Zeta Jones e John Cusack nei
panni di una coppia di divi hollywoodiani in crisi,
costretti a riunirsi per esigenze pubblicitarie legate ad
un film in mano ad un regista pazzoide sono decisamente
perfetti. Irresistibili sono i finti trailers dei film che
li dovrebbero avere portati al successo. Una parata del
peggio, del peggio del cinema americano con i suoi luoghi
comuni e con le sue farse di second’ordine. Riuscirà il
potente press agent interpretato proprio da Billy Crystal
a salvare la situazione insieme alla sorella (Julia
Roberts) dell’attrice maniaca e dispotica?
Una commedia romantica semplice e
divertente che è anche una satira dei piccoli e grandi
vizi di Hollywood, diretta dall’ex capo della Buena Vista,
Joe Roth con Christopher Walken nei panni di un regista
geniale che ricorda molto Stanley Kubrick.
Paz! {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Claudio Santamaria – Flavio Pistilli – Max
Pezzotta – Fabrizia Sacchi Sceneggiatura Ivan Cotroneo –
Francesco Piccolo – Renato De Maria Regia Renato De Maria
Anno di produzione Italia 2002 Distribuzione Mikado Durata
100’
Pur non sentendocela di ascrivere Paz!
– come dice il suo regista – al genere
fantascientifico, si può tranquillamente riconoscere a
questa pellicola un background surreale che – di
diritto – la colloca nel genere fantastico. Già, perché il
filtro delle opere di Andrea Pazienza, fumettista di culto
morto nel 1988 all’età di trentadue anni, impedisce di
fare di Paz! un affresco storico circostanziato
della Bologna del 1977. Sebbene il regista De Maria (con
uno stile e un montaggio interessanti, esaltati da un
utilizzo intelligente del digitale) inserisca nel tessuto
narrativo tutti i grandi temi politici e sociali di quegli
anni, a dominare la scena sono proprio tre eroi nati dalla
matita di Pazienza, che divenuti reali incarnano ansie,
angosce, passioni e vizi dell’opera del loro defunto
padre. L’arte di Pazienza contaminandosi con il cinema e
il cinema diventando fumetto offrono agli occhi dello
spettatore un’opera piacevolmente insolita, sexy ed
intrigante. Ma anche se l’amore libero, la discoteca, le
canne, le facoltà occupate, la voglia di collettivismo
politico possono aprire il cuore del pubblico, questo
viene lasciato abbastanza freddo da un ibrido pericoloso.
Chi non conosceva Pazienza non sarà invogliato, forse, a
leggerlo, mentre chi lo conosceva potrà restare deluso da
un’opera abbastanza fine a se stessa, in cui passione
politica, critica caustica della società e rabbia
giovanile sembrano essere spuntate da una ricostruzione
storica corretta, ma al tempo stesso asettica.
Anche se non c’è nessun malinconico
"com’eravamo" Paz! pur essendo molto apprezzabile,
non manifesta chiaramente il suo senso e il proprio
messaggio, mostrando molto, forse, troppo, senza mai
diventare emblema o ritratto di niente.
Il nostro matrimonio è in
crisi {Sostituisci con chiocciola}
Antonio Albanese, Aisha Cerami, Shel
Shapiro Sceneggiatura Antonio Albanese, Vincenzo Cerami,
Michele Serra Regia Antonio Albanese Anno di produzione
Italia 2002 Distribuzione Filmauro Durata 96’
C’era una volta la mania dell’India con un
cinema più o meno serio che prendeva in giro chi andava a
cercare la propria identità. Adesso, nella (nuova) era
della New Age ecco che Antonio Albanese cerca di replicare
l’eterno canovaccio dello stolto a confronto con
l’effimero filosofico che da Aristofane a Totò, da
Pulcinella a Peter Sellers ha sempre funzionato benissimo
dal punto di vista drammaturgico. Il tempo passa, però, e
il cinema in cerca di novità pretenderebbe qualcosa di
nuovo e migliore rispetto alla sconcia arlecchinata che ci
offre Albanese che con un trust di cervelli (Michele Serra
+ Vincenzo Cerami) abbastanza insolito partorisce un
topolino noioso e già visto. Il nostro matrimonio è in
crisi è il peggior film di Antonio Albanese un attore
tanto bravo da avere la colpa di non essere un regista
all’altezza delle aspettative suscitate dalle sue
interpretazioni.
I marciapiedi di New York
(Sidewalks of New York) {Sostituisci con chiocciola}
Scritto, Diretto e interpretato da Ed
Burns con Heather Graham, Stanley Tucci
Anno di produzione USA 2001 Distribuzione
Eagle Pictures Durata 100’
Quello che risulta subito chiaro da I
marciapiedi di New York è di stare assistendo ad un
film in (mal) costume. Il personaggio di Ed Burns che nel
più puro stile finto intervista iniziato da Woody Allen
parla delle sue avventure sessuali sullo sfondo delle
torri gemelle, colloca la pellicola in un tempo e in uno
spazio lontano. Seppellitto dall'affermazione del
personaggio di Heather Graham: "Noi ci annoiamo e per
questo ci occupiamo di sesso, nella nostra vita non accade
nulla....
una frase che lascia stupefatti e che sega
immediatamente il valore sociale del film e il suo piglio
(tutt'altro nascosto) tipico di chi ha ambizioni
documentaristiche.
Detto questo, però, il peggio è che I
marciapiedi di New York è alimentato da un ridondante
voyeurismo verbale dove a fronte di un eloquio più che
esplicito con tanto di misurazioni, pesi e misure degne
del Woody Allen pre-Dreamworks in piena andropausa, non si
vede una gengiva, un gomito nudo, una caviglia, un
mezzobusto...
Il puritanesimo da osteria di un regista
che parla di tutto, ma che non mostra niente affossa lo
spettatore in una noia tremenda, spezzata da battute
piccantine che - si sa - vorrebbero provocare rossore (se
ci si trovasse in una sala parrocchiale...), perché di
sesso si deve soprattutto ridere e chiacchierare.
Per non parlare poi della tecnica di
montaggio "skip framing" utilizzata da Allen in Harry a
pezzi, delle interviste finte, dell'andamento della
storia che ricorda per temi, ambientazioni e stile
narrativo le ultime commedie corali del regista
newyorchese per eccellenza.
Non basta un cast di bravi attori
carismatici a tenere su un film dove tutto è già visto e
che - nell'era di un cinema dalla sessualità liberata -
sembra non solo obsoleto, ma provenire da un ragazzo
represso, cresciuto con un'educazione sessuale
profondamente costrittiva...
Il sesso è questione di centimetri? Quante
donne si devono avere avute ad una certa età? E quanti
uomini si possono avere avuti a diciannove anni? Que3sti
sono quesiti esistenziali sinceramente obsoleti e
eccessivamente adolescenziali che appaiono assurdi e di
cattivo gusto se proferiti dinanzia la simulacro delle
Twin Towers.
Volgarità? Pruriti inenarabili? No,
soltanto una grande e insopportabile noia. Il Deja Vu
portato alle sue massime conseguenze stronca il pubblico
di una commedia della New York del "bel?" tempo che fu...
The Shipping News {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Kevin Spacey, Cate Blanchett, Julianne
Moore Sceneggiatura e Regia Lasse Hallstrom Anno di
produzione USA 2001 Distribuzione Buena Vista Durata 110’
L'elemento più toccante di The shipping
news è offerto allo spettatore dalla maniera in cui il
regista svedese Lasse Hallstrom fotografa il mare
facendolo apparire come una sospensione cupa e fredda che
avvolge Terranova disegnandone i contorni sporgenti e
taglienti e che - come un liquido amniotico - contiene e
protegge le anime dei protagonisti di questa storia,
preservandoli in uno stato di perenne attesa di una vita
che, forse, non potrà mai nascere e avviarsi davvero.
Interpretato da un cast di attori
letteralmente fantastico con Kevin Spacey, Cate Blanchett
e Julianne Moore, che rappresentano in questo momento il
meglio di un certo tipo di interpreti, The shipping news è
un film eccessivamente veloce, che sembra riuscire solo in
parte a raccontare l'evoluzione spirituale del
protagonista (Spacey) e del suo viaggio tra metafora e
realtà che da imbelle lo fa diventare, alla fine, una
persona decisa e soddisfatta.
Avvolta in una cornice naturale
mozzafiato, la pellicola diretta dal regista de Le regole
della casa del sidro e Chocolat, sembra incapace di
stabilire un contatto intimo ed empatico con lo
spettatore, che pur apprezzandone la natura e la qualità,
non riesce mai ad immedesimarsi davvero con la storia,
scansionata più seguendo le pagine del copione che un vero
e convincente incedere degli eventi.
Anche se Hallstrom ha - come al solito del
resto - seguito ogni singolo dettaglio del film, quello
che sembra essergli davvero sfuggito di mano è il senso
ultimo e personale di una storia in cui Kevin Spacey
appare come troppo carismatico per riuscire a convincere
davvero lo spettatore di essere uno "sfigato".
L'intero andamento leggero della pellicola
preconizza sin dal suo inizio un lieto fine inesorabile,
smorzando sin da subito il dubbio che il dolore necessario
alla saggezza della catarsi sia quasi "troppo". La colonna
sonora vorrebbe farci pensare ad un'epica dell'anima
incentrata sulle piccole cose, mentre nel film il
contrasto tra immagini e contenuti va a sfavore di questi
ultimi rendendo esili se non addirittura banali i moti dei
cuori dei protagonisti, mossi dalle ansie e le angosce di
tutti quanti noi, mentre il mare e le onde squassano
rumorosamente i flutti. Assordati dalla propria
individualità, i personaggi si muovono sullo sfondo di
Terranova senza riuscire a comunicare al pubblico le
proprie emozioni e i loro sentimenti più intimi.
Sostenuto da un tono ironico apprezzabile
e divertente, il film soffre di una rapidità eccessiva
dovuta anche al seguire numerosi personaggi presenti nella
storia. Sarebbe stato dunque lecito attendersi qualcosa di
più da questa pellicola intrigante, che avrebbe
probabilmente dovuto insistere sull'aspetto più intimista
e magico (un po' come era accaduto per La casa degli
spiriti e Come l'acqua per il cioccolato) per potersi
definire riuscita del tutto. La distanza emotiva
apparentemente incolmabile con i suoi protagonisti rende
il film freddo e a tratti perfino irritante. Esattamente
come il mare di Terranova dal nostro Mediterraneo. E anche
se la riuscita dei film non si misura con le miglie
marine, c'è una grande differenza nel girare documentari
di fiction in luoghi sperduti rispetto a quella di
girare drammi dello spirito in grado di renderci persone
migliori, dopo avere sentito di avere vissuto veramente
qualcosa.