In the bedroom {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Di Todd Field con
Sissy Spacek, Tom Wilkinson
C’è qualcosa che
lascia molto male in questo film diretto dall’esordiente
Todd Field che i più ricorderanno nei panni del misterioso
pianista amico di Tom Cruise nell’ultimo film di Stanley
Kubrick Eyes Wide Shut.
A fronte di una
storia articolata che vede due anziani genitori privati
dell’affetto dell’unico figlio per mano di un marito
geloso dell’amore della sua ex moglie per il ragazzo,
In the bedroom non è una riflessione sul dolore,
quanto piuttosto un’agghiacciante ricostruzione chirurgica
della vendetta. Anche se ci sono molti momenti
straordinari dal punto di vista umano e cinematografico, e
il ritratto della provincia perbenista frana dinanzi al
piacere del delitto, In the bedroom è un film
scomodo, celebrato da troppe nominations all’Oscar
francamente poco credibili, che a fronte di
interpretazioni tutt’altro che esaltanti è un monumento al
dolore mitigato dalla vendetta consumata calda. Siamo
sicuri che quando muore un figlio la vendetta sia l’unica
forma per maturare il lutto? Questa Stanza del figlio
di provincia, poi, non convince anche per l’insipiente
recitazione di una Marisa Tomei nei panni attillati della
donna fatale. Insomma, un film intrigante dal punto di
vista registico, assai debole sotto il profilo umano ed
emotivo.
Lunedì mattina {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Di e con Otar
Iosseliani
Orso d’argento per
la regia all’ultimo Festival del cinema, Lunedì mattina
è un’elegante riflessione di Iosseliani sul senso
della vita e sul muro di divieti e restrizioni che si
possono incontrare. Girato con il solito stile
immaginifico e apparentemente semplice, Lunedì mattina
opera su un livello razionale ed emotivo molto forti
abbandonando lo spettatore ad una liricità inaspettata.
Una pellicola complessa, intrigante e rasserenante tra
amicizia vera e convivialità.
Amnésia {Sostituisci con chiocciola}
Di Gabriele
Salvatores con Diego Abatantuono, Sergio Rubini, Martina
Stella, Alessandra Martines
Diego Abatantuono fa
il Diego Abatantuono che tutti conosciamo insieme ad un
Sergio Rubini che fa il Sergio Rubini per la regia stanca
di Gabriele Salvatores in un’Ibiza post hippie tra droga e
sensualità di risulta. Un film vecchio nella prima parte e
tremendamente noioso e scontato nella seconda in cui
Salvatores vede appannarsi ulteriormente la sua stella.
Non certo la Martina anche lei Stella, per il momento solo
per quello che riguarda il cognome, cui tocca interpretare
la figlia di un pornografo, ignara del mestiere del padre,
che va a parlargli per rivelare un problema che potrebbe
cambiare la sua vita. Lungo, inutile e – quel che è peggio
– deludente sotto il profilo tecnico, l’unico ambito in
cui Salvatores era sempre stato indiscutibile.
E.T.
(edizione del ventennale) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Di Steven Spielberg
con Henry Thomas – Robert MacNaughton – Drew Barrymore
"Sono vent’anni
oggi" cantavano i Beatles in Sgt.Pepper’s Lonely hearts
club band e così anche il pupattolone creato da Carlo
Rambaldi che ha cambiato per sempre la nostra percezione
degli alieni, torna a distanza di tanto tempo in una
versione restaurata che rende giustizia non solo
all’originale, ma anche ad un percezione modernista della
fantascienza. Se da un lato, infatti, le immagini più
luminose e la cura per rendere più credibile il pupazzo
grazie alla computer grafica migliorano decisamente il
tono complessivo del film, dall’altro la cancellazione dei
fucili sostituiti digitalmente da radio e occhiali da sole
avvicina la pellicola al nostro tempo, quando l’alieno non
è necessariamente considerato un nemico o tantomeno un
pericolo. Va detto, poi, che la scena aggiunta (tra
l’altro il film è stato interamente ridoppiato) consente
allo spettatore una maggiore comprensione della trama che
diventando più omogenea rende meno "deus ex machina"
la resurrezione di E.T. Quando Elliot e
l’extraterrestre più famoso del cinema fanno il bagno (la
sequenza fu tagliata perché Spielberg non era soddisfatto
del risultato) scopriamo che l’acqua ha un potere
rigenerante su E.T. E’ per questo che quando il fratello
di Elliot lo va a cercare lo troviamo in un corso d’acqua
ed è ancora per questo motivo che il ghiaccio del
contenitore dove viene chiuso l’essere, perché creduto
morto risveglia l’essere dal suo torpore. Inoltre, a
distanza di anni, ci accorgiamo del messaggio positivo e
fantascientifico del film, all’epoca forse attutito dalla
novità. La famiglia di bambini abbandonati dal padre,
curati da una madre depressa, che rifiutano la violenza
gratuita (ad esempio sulle rane) è una metafora della
solitudine dell’umanità dinanzi ad un cosmo silenzioso e
al timore dell’abbandono. Un racconto positivo, così come
nelle corde cinematografiche di Spielberg, che perde la
sua patina pre X files. E.T. oggi non è una
simbolizzazione del potere governativo che tende ad
occultare gli alieni come nella serie ideata da Chris
Carter. I toni vengono smussati e questi agenti di oggi
guidati da Peter Coyote sembrano in fondo volere cercare
di aiutare E.T. non di catturarlo.
E.T. rappresenta
ancora oggi la possibilità di credere nel fantastico e
nell’imprevisto, senza paure (ben venga quindi
l’eliminazione tutt’altro che buonista dei fucili) in un
senso di percezione fantascientifica dell’esistenza. Con
una grande differenza rispetto a venti anni fa. I bambini
di allora che scrutavano le stelle in cerca dell’astronave
di E.T. oggi lo fanno dando la mano ad un altro bambino
venuto dopo. Perché la testimonianza della fantascienza
non è solo una passione, bensì un’attitudine dell’anima a
guardare molto lontano, oltre le stelle. Disponendo il
proprio animo a riconoscere E.T. il giorno che verrà da
noi a cercare di comunicare il suo disperato bisogno di
ritrovare una casa…in qualsiasi galassia essa si trovi.
Anche a pochi metri da dove abitiamo noi.
Rollerball {Sostituisci con chiocciola}
Di John Mc Tiernan
con Jean Reno – Chris Klein – Rebeca Romijn Stamos – LL
Cool J
Rifacimento
dell’originale di venticinque anni fa diretto da Norman
Jewison con protagonista James Caan, questa nuova versione
postmoderna risulta al limite dell’imbarazzante,
evidentemente funestata da problemi produttivi e da
aggiunte posticce che hanno fatto naufragare il senso
ultimo dell’intera pellicola. Diretto da John Mc Tiernan,
uno dei registi d’azione più interessanti di Hollywood che
oggi sembra avere perso il suo smalto, Rollerball
sembra un unico gigantesco videoclip dove ogni messaggio
sociale e politico sembra andato a farsi friggere per una
storia poco comprensibile ambientata nelle repubbliche
dell’ex blocco comunista. Se da un lato può risultare
visivamente divertente questa mescolanza di caratteri
orientali e asiatici, dall’altro viene lasciato troppo
spazio all’interpretazione per capire quale sia in fin dei
conti il sistema politico alle spalle del gioco violento
che sembra essere diventato il centro del mondo almeno
televisivo. Purtroppo, va detto che non vale la pena
starci troppo a pensare su. i buchi di sceneggiatura, i
cliché, gli atteggiamenti incomprensibili dei
protagonisti si perdono in una marea di immagini montate
in maniera eccessivamente veloce. Nemmeno le belle donnine
molto svestite e la bellezza magnetica di Rebecca Rominjn
Stamos sembrano riuscire a tirare su un film che da metà
del primo tempo scivola nel patetico. Segno che i
remakes andrebbero fatti solo quando c’è davvero
qualcosa in più da dire. Ogni riferimento al Tim Burton de
Il pianeta delle scimmie non è puramente casuale.
The
Believer {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Di Henry Bean con
Ryan Gosling, Summer Phoenix
Vincitore del Gran
Premio della giuria al Sundance Festival del 2001, The
believer è una pellicola complessa e interessante, più
riuscita sotto il profilo tecnico che contenutistico.
Ispirato ad un articolo del giornalista Marc Jacobson che
identificava qualche tempo fa alcuni ebrei tra i
neonazisti americani, The believer è la
celebrazione della contraddizione umana, incentrata sulla
figura di Danny Balint, uno skinhead ebreo che per
le sue qualità di leader viene scelto per diventare un
esponente di alto livello del movimento legato alla destra
ariana americana.
Il problema è, alla
fine, che il suo essere violentemente antisemita stupisce
e preoccupa i suoi stessi superiori, interessati più ad
un’affermazione "politica" della causa ariana, che
militare. La rabbiosa caccia all’ebreo, l’eliminazione
fisica dei non ariani, la dissacrazione delle sinagoghe e
perfino dei rotoli della Torah costituiscono i punti
cardine della lucida follia di Danny, che pian piano
scopriamo essere un ragazzo ebreo deluso e ferito dal suo
rapporto con Dio e con la comunità di cui . nel fondo del
cuore - sente ancora di fare parte. Tramite l’amore per la
figlia dei due dirigenti ariani che lo hanno reclutato
come esponente politico del movimento neonazista, Danny
riscopre il suo ebraismo insegnando a leggere in ebraico
alla ragazza. Di qui la lacerazione più irrimediabile, con
una serie di attacchi terroristici portati avanti con
ferocia e al tempo stesso i sospetti dei camerati nei suoi
confronti dopo che il ragazzo ha salvato alcuni rotoli
delle Sacre Scritture dalla distruzione. Se dal punto di
vista strettamente cinematografico The believer è
molto riuscito con un Ryan Gosling (cresciuto mormone
nello UTAH) straordinariamente convincente e credibile (il
film meriterebbe di essere visto in originale), sotto il
profilo concettuale pone molti interrogativi. Se da un
lato l’idea di un uomo che incarni la contraddizione di se
stesso – al di là della finzione drammaturgica – trova un
senso più dal punto di vista psichiatrico che politico,
d’altro canto l’idea che gli ebrei siano colpevoli anche
del razzismo nei loro confronti è pericolosa e stravagante
in un momento storico in cui l’antisemitismo lungi
dall’essere un ricordo trova nuova linfa nel ritorno di
pericolose dottrine di destra. The believer,
dunque, risulta assai limitato nella sua riuscita dal
fatto che non può sollevare un dibattito (la schizofrenia
del protagonista ebreo ed antisemita in turni equamente
ripartiti è, infatti, evidente) e – al tempo stesso nella
sua contaminazione tra politica e fede – è privo di un
messaggio chiaro e diretto come era capitato per
American History X. La cieca istigazione alla violenza
e il rifiuto di un mondo manicheo diviso tra buoni e
cattivi (nel film anche i nazisti Billy Zane e Theresa
Russell hanno in fondo un cuore…) avrebbero meritato un
maggiore approfondimento psicologico e storico di questa
splendida rappresentazione drammatica e artefatta di una
follia troppo organizzata e chiara (pur con tutti i dubbi
possibili) per essere vera e credibile.