Index ARTE - a cura di Giovanna Grossato - Marzo 1997


LE DONNE NELL'ARTE (6)

Carrington

E’ questa l’immagine sommaria di una vita creativa costituita da eventi privi di grande rilievo rilievo pubblico, che si sviluppano piuttosto nell’interiorità e nell’operazione di trasfigurazione artistica della realtà quotidiana, che tra il clamore di grandi successi (o di drammatici insuccessi). La sintesi dell’esistenza di Dora de Houghton Carrington potrebbe essere espressa in questo modo perché, pur ribelle ed anticonvenzionale, era d’altronde molto poco interessata all’ottenimento della fama, della ricchezza e dei riconoscimenti ufficiali. E se il suo punto di partenza furono gli accurati studi presso una delle più qualificate scuole d’arte di Londra, la Slade-School of Fine Arts, i successi iniziali, anziché spronarla a ricercare nuove conferme istituzionali al suo talento, la spinsero ad approfondire i propri pensieri e a sperimentare tecniche diverse, seguendo la sua inclinazione alla riservatezza e alla ricerca della libertà d’indagine.

Nata a Hereford nel 1893, dopo quei cinque anni di studio accademico alla Slade, fu a contatto con lo stimolante circolo degli amici di Vanessa Bell, la sorella pittrice di Virginia Woolf, dove, a ventidue anni, conobbe ed amò per sempre lo scrittore Giles Lytton Strachey con il quale visse, benché egli fosse dichiaratamente omosessuale, dal 1917 fino alla morte di lui, nel 1932 e alla propria, un mese più tardi.

Questa fondamentale scelta affettiva, che rivestì per Carrington, come si faceva chiamare, anche un profondo significato culturale e quindi artistico, condizionò, o più precisamente, assecondò, anche una serie di altre scelte di stile di vita. Per esempio il desiderare di trascorrere la maggior parte del tempo in provincia, a Tidmarsh, ritraendo luoghi, fiori, ritratti di amici o di Lytton stesso mentre legge con una tale esuberanza ingenua e un po’ rapita ed irrituale e nello stesso tempo catturata da una necessità di vero. Quello che di magico c’è nel suo dipingere, non è, infatti, una forzatura dei limiti del reale, ma la scoperta di quanto di prodigioso nella realtà vedono suoi occhi.

La via d’acqua che lo sguardo deve percorre prima di giungere al vòlto che si apre, scuro come una bocca, sul muro del mulino nel Tidmartsh Mill (1918), è un percorso pieno di sorprese, tra le erbe del canale, osservando i cigni neri che seguono il filo della corrente e incantandosi dei colori che si riflettono sulla superficie. Magico ma reale.

Non si riesce a credere che questa donna, che dipingeva anche cose assai modeste, come le insegne per i "pub", e che decorava ceramiche, appassionata, spregiudicata ma piena di riserbo, mettesse un significato di sconfitta, nel gesto di togliersi la vita, con un colpo di pistola, in seguito alla morte dell’amato compagno di una vita (pur avendo un marito e un amante) . Viene fatto di pensare, piuttosto, che Carrington desiderasse, con questo atto drammatico e definitivo, solo una soluzione all’impossibilità di sopravvivere con il senso di vuoto creato dall’assenza della persona che aveva dato sostanza alla sua vita fino a quel momento.

Giovanna Grossato