I film di maggio (I
parte)
Hopkins
scopre cos'è l'odio
Blues Brothers, torna il mito
George,
Re della giungla (George of the jungle)
Brendan Fraser - Leslie
Mann Sceneggiatura Dana Olsen & Audrey Wells Regia
Sam Weisman Anno di produzione 1997 Distribuzione
Buena Vista International Durata 92
Ispirato direttamente
allomonimo cartone animato che spopolò negli anni
Sessanta, George, Re della Giungla è un film per
bambini, girato con un grande senso dellironia e
dellumorismo che per unora e mezza regala gags
destinate ai più piccini che - eppure - strappano
non poche risate anche agli adulti. La storia ispirata a
un simil Tarzan interpretato con grande simpatia da
Brendan Fraser, ci mostra tutti i consueti stereotipi del
film che viene ambientato in Africa, con lunica
differenza della consapevolezza dei realizzatori di stare
facendo lennesima variazione sul tema, seppure
assai ridicola. Esilarante è ad esempio la figura del
Gorilla parlante di nome Scipione amante della
letteratura e degli scacchi che in originale veniva
doppiato nientedimeno che dal leader dei Monty
Phyton, John Cleese.
Ed è così che George,
re della giungla deve proprio al suo grande senso
dellumorismo di fondo il suo successo. Mescolato ad
ambientazioni molto carine, con animali teneri e buffi,
grazie anche alla tecnologia avanzata che permette delle
animazioni ancora più irresistibili, George non
presenta nemmeno una caduta di tono, costituendo
unennesima conferma da parte della casa di
produzione con le orecchie da topo, nella realizzazione
di film sempre più gradevoli e mai sciatti. Con tanto di
simpatica autoironia e di gusto della citazione con un
finale di film che è esattamente lo stesso del Re
Leone. Insomma, davvero un ottima politica quella di
fare ridere il pubblico con il risultato di divertirsi e
autocitarsi.
Codice
Mercury (Mercury Rising)
Bruce Willis - Alec
Baldwin - Chi McBride - Kim Dickens Sceneggiatura Lawrence
Konner Regia Harold Becker Anno di produzione 1998
Distribuzione UIP Durata 112
Questo noiosissimo film raccoglie
in sé tante altre pellicole da sembrare un lunghissimo deja
vu tessuto insieme da unesile e del tutto
incongrua trama. Un bambino autistico, ma
intelligentissimo (Rain Man e altri) riesce a
infrangere un codice segretissimo (Wargames) che
è lunica garanzia di sicurezza per gli agenti
americani allestero per rimanere vivi, comunicando
tra loro. Il capo di unagenzia governativa talmente
segreta da non avere nome (Alec Baldwin) decide di
eliminare il bambino che nel frattempo viene protetto da
un agente dellFbi emarginato dai suoi colleghi (The
witness). Insomma, la lista dei film riassunta da Codice
mercury si spreca, eppure, non cè ne è uno
che il regista Harold Becker (Malice, Crazy for you) riesce
a seguire con una logica un po sfrontata, ma almeno
lineare. Lunghissimo: unora e cinquantadue di puro
avvilimento, in certi momenti cade nel più assoluto
qualunquismo con situazioni da filmetto di serie B, che
tenta disperatamente di richiamarsi a qualcosa di
eccessivamente pretenzioso. Bruce Willis fa Bruce Willis
- come in tutti i film - e nonostante la sua grande (e
scontata) simpatia, non riesce a risollevare le sorti di
una pellicola compromessa dalla scarsezza di idee, cui si
preferisce, invece, sostituire degli slogans che
si scontrano contro il pragmatismo degli spettatori e non
certo dei più smaliziati. Perfino la colonna sonora di
John Barry, autore delle musiche dei più famosi film
bondiani, sembra citare qualcosaltro per mancanza
di idee. Peccato, per un film che poteva essere
sviluppato in tuttaltra maniera e che, invece, cade
da una situazione inverosimile allaltra.
Amore
e morte a Long Island (Love and death on Long
Island)
John Hurt - Jason
Priestley - Fiona Loewi Sceneggiatura e Regia Richard
Kwietniowski tratta dal romanzo omonimo di Gilbert Adair Anno
di produzione 1997 Distribuzione MIKADO Durata
93
Amore
e morte a Long Island è un film sorprendente.
Intelligente, girato con cura e attenzione ai
particolari, pieno di unironia tipicamente
britannica, racconta con genio e maturità la storia di
un anziano e affermato scrittore inglese, vedovo da poco,
che capitando per errore in un cinema dove viene
proiettato un film adolescenziale, si innamora del suo
bel protagonista. Da qui tutta la vita viene sconvolta e
come la più normale delle teenagers, incomincia a
leggere tutti i giornaletti che parlano di questo giovane
attore americano, interprete di film pseudo-demenziali e
di soap operas. Più delle ragazzine innamorate,
però, lo scrittore ha la possibilità di andare fino
negli Stati Uniti dove abita il suo giovane idolo. Dopo
mille astuzie e peripezie, riesce a incontrarlo e -
finalmente - a dichiarargli il suo amore non corrisposto.
Finirà tutto lì ? Interpretato magistralmente da
un attore del calibro di John Hurt e da Jason Priestley,
uno dei protagonisti di Beverly Hills 90210, Amore e
morte a Long Island è un moderno dramma che -
nonostante la profonda disperazione e solitudine che
racconta - assomiglia più a una commedia ironica come il
suo protagonista, un ingenuo uomo di lettere
profondamente e distrattamente innamorato della vita.
Sebbene fondato sul
paradosso dellamore adolescenziale che afferra un
rispettabile scrittore, il film è tuttaltro che
"impossibile" o "infondato". Anzi, è
veramente centrato e calibrato, proprio grazie alla sua
capacità di osare e raccontare aspetti segreti di una
personalità che - invece - sembrerebbe non avere
nullaltro da aggiungere a ciò che ha scritto. Ed
è proprio questo che mostra inconsapevolmente, ma in
maniera assai naturale il suo anziano protagonista. Una
capacità di aprirsi ancora alla vita e allamore,
lasciandosi andare a una leggera e quantomai
irresistibile elegia della passione che colpisce senza
distinzione e della voglia di scoprirsi ancora a se
stessi.
Un film forte e
intelligente, moderno eppure classico nel più abusato
dei termini visto che lamore che viene raccontato
è proprio di quei grandi artisti di cui abbiamo numerosi
esempi nelle varie epoche. Fondato quasi interamente
sulla magistrale interpretazione di John Hurt, Amore e
morte a Long Island che ha vinto alla scorsa edizione
del Festival di Cannes il premio Pierrot per il Giovane
Cinema Europeo, è un magnifico esempio di come si
possano raccontare storie antiche nel più moderno dei
modi, senza per questo snaturarle, riuscendo invece ad
adeguarle ai tempi e ai luoghi, rimanendo fedeli a una
tradizione classica austera, intelligente e affascinante.
Teatro
di guerra
Andrea Renzi - Anna
Bonaiuto - Iaia Forte Sceneggiatura e Regia Mario
Martone Anno di produzione 1998 Distribuzione MIKADO
Durata 113
Mario Martone cita Mario Martone
raccontando il proprio lavoro per la messa in scena dei Sette
contro Tebe di Eschilo da portare nella Sarajevo
occupata come testimonianza di solidarietà, e ci
costruisce una storia sopra che diventa metafora della
guerra che regna sul mondo e in particolare su Napoli.
Se, infatti, una compagnia di attori squattrinati deve
affrontare mille problemi per realizzare lo spettacolo,
il mondo che li circonda esternamente diventa uno schermo
estremo del conflitto globale che tutti - da secoli -
sono costretti a subire.
La Napoli della guerra tra
i clan della camorra, la Napoli in cui gli attori devono
"prostituire le loro idee" per fare del teatro,
per lavorare, e ancora la Napoli tronfia di demagogia a
basso prezzo, diventano un riflesso lontano eppure
gigantesco della Sarajevo occupata e distrutta. Il teatro
nel cinema di Martone, il teatro di Martone nel suo
stesso film diventano così trama e obiettivo della
storia che unisce le prove teatrali di un vero spettacolo
alla più realistica "finzione"
cinematografica.
Un film complesso che
nella sua profonda acutezza e nel suo sgargiante cinismo
vuole raccontare ancora una volta la storia della
disperazione che regna a Napoli e nel sud assediato da
una guerra meno nobile di quella dei sette eroi contro
Tebe, meno feroce di quella nella città
dellex-Yugoslavia, eppure non per questo meno
pericolosa visto che le sue vittime sono mietute tra le
coscienze e gli stili di vita dei suoi protagonisti. Un
film duro in cui Martone reitera il suo disprezzo per
lumanità napoletana - che eppure sembrerebbe
difendere - nel quale erge a metafora universale il Teatro
di guerra che da secoli regna nella città di Napoli.
Un crepuscolo delle illusioni in cui tutte le istituzioni
sembrano crollare e che vede la fine anche del teatro
inteso in maniera politica e contrapposto al "teatro
di distrazione" egemone in Italia, in particolare in
una città come Napoli, abbandonata dagli Dei alla
stregua della Tebe di Eschilo, in cui sembrano essere
sempre più importanti i fucili che il teatro, proprio
come nella Sarajevo occupata, dove - alla fine - lo
spettacolo non si farà. Ovviamente, perché la guerra è
nemica del teatro e del suo messaggio di speranza e di
pace.
Lurlo
dellodio (The edge)
Anthony Hopkins - Alec
Baldwin - Elle MacPherson - Harold Perrineau Sceneggiatura
David Mamet Regia Lee Tamahori Anno di
produzione 1997 Distribuzione Twentieth
Century Fox Durata 117
Incorniciato dalle stupende e
glaciali ambientazioni in Alaska, da una fotografia
meravigliosa e dal bel commento musicale di Jerry
Goldsmith, esaltato dalla ruvida regia di Lee Tamahori (Once
were warriors), Lurlo dellodio racconta
la storia di un miliardario (Hopkins) disperso nelle
foreste del Grande Nord, insieme a un fotografo di moda
amico di famiglia (Baldwin) e al suo collaboratore
(Perrineau). Inseguiti da un orso assassino (lorso
Bart protagonista anche del film omonimo di Jean Jacques
Annaud) i tre devono fronteggiare i rigori del freddo e i
morsi della fame per tentare di sopravvivere. Il guaio è
che il fotografo si rivela essere anche lamante
della bella moglie (Elle MacPherson) del miliardario e
tutto si complica davvero.
Un film duro, sulla
solitudine di chi ha i soldi e che sa che tutto quello
che gli viene offerto è in base allammirazione e
allinvidia che suscita. Soli nella foresta (che
come sempre può essere interpretata come una metafora)
il miliardario e il suo nemico devono cercare di salvarsi
a tutti i costi, abbattendo lorso e superando il
freddo.
Così non sono più i
soldi a contare, la capacità di conoscere belle donne e
di arricchirsi, bensì la sola capacità di
sopravvivenza. Ed è il miliardario a mostrare - grazie
alla sua cultura - il migliore spirito di adattamento.
Non contano più gli aerei personali, i soldi e le donne.
Solo essere se stessi significa qualcosa per sconfiggere
lorso e salvarsi. In questo senso potrebbe
comprendersi il titolo italiano che parla di un odio che
nel film non cè, perché il miliardario Morse non
odia lamante della moglie. È solo deluso da
entrambi, che hanno reiterato intorno a lui quella
solitudine di sempre. Migliore era il titolo originale
che parla di un limite. Qual è, infatti, il confine da
superare ? Soltanto il limite dentro di noi e
questo, Morse che non ha mai conosciuto rapporti veri, ma
soltanto distorti, confusi e gonfiati dal suo potere e
dal suo denaro. Come nel racconto di Hemingway, il ricco
marito dovrebbe perire nel contatto con il mondo
selvaggio. Ma stavolta luomo è colto ed è capace
di colpire e attaccare a sua volta.
Un film pieno di tensione
con un attore come Anthony Hopkins che catalizza tutta
lattenzione e che trova una spalla più che buona
in Alec Baldwin, cattivo a metà, visibile ennesimo
pupazzo nelle mani di una bella donna. Lurlo
dellodio nonostante molto appesantito da alcune
pessime "americanate", con un finale che
rischia di inficiare lintera pellicola per la sua
banalità di ambientazione, è un film interessante e
originale, che racconta una storia nuova che - eppure -
è la più vecchia del mondo. Quella delluomo solo
contro tutti, che solo al contatto con la natura è
capace di ritrovare se stesso e iniziare una nuova vita e
- dunque - una nuova avventura.
Una
vita esagerata (A life less ordinary)
Ewan McGregor, Cameron
Diaz, Holly Hunter, Delroy Lindo, Ian Holm, Ian Mc Neice,
Stanley Tucci Sceneggiatura Jon Hodge Regia
Danny Boyle
Anno di produzione 1997
Distribuzione Twentieth Century Fox Durata
103'
Realizzato dal regista di Trainspotting
Danny Boyle, Una vita esagerata è una
commedia romantica un po pulp, divertente e
intelligente con cadute di tono che francamente
lasciano un po allibiti per la loro gratuità. Se
la storia degli angeli che devono fare innamorare due
ragazzi diversissimi tra loro come un addetto alle
pulizie sognatore (Ewan McGregor) e la figlia bella e
annoiata del suo capo (Cameron Diaz), pena la cacciata
dal Paradiso sembra essere davvero geniale e spiritosa,
non altrettanto si può dire di alcune trovate di pessimo
gusto che appesantiscono di molto la sceneggiatura.
Mentre gli attori sono tutti allaltezza del compito
con una Cameron Diaz più seducente che mai e
unHolly Hunter originale e inconsueta nel ruolo
dellangelo pronto a fare fuoco, alcune incertezze
stilistiche danno al film un andamento altalenante con
momenti di vera noia e di dubbio significato.
Tutto questo può venire
facilmente spiegato dal doversi adattare a dei ritmi
americani per un gruppo di lavoro britannico che
ne siamo certi avrebbe risolto altrimenti
determinate situazioni, se fosse stato in Europa a girare
il film.
Ad ogni modo Una vita
esagerata è una divertente divagazione soft pulp per
il regista Danny Boyle che riadattando agli anni Novanta
temi cari al cinema americano anni trenta e quaranta come
lintervento divino nella vita di tutti i giorni
degli uomini, è riuscito a realizzare una commediola
originale e allegra.
Artemisia
Valentina Cervi
Miki Manojlovic Michel Serrault Luca
Zingaretti Sceneggiatura e regia Agnes Merlet Anno
di produzione 1998 Distribuzione Warner Bros.
Italia Durata 120
La storia di una delle più grandi
pittrici del diciassettesimo secolo Artemisia Gentileschi
e la sua insana passione per il pittore Agostino Tassi è
al centro di questo Artemisia che ha come
protagonista la nipote diretta del grande Gino Cervi,
Valentina.
Curato nei minimi dettagli
stilistici, con ogni inquadratura che sembra ispirata a
un dipinto dellepoca, con costumi e fotografia
assai raffinati, al film sembrano mancare unanima e
un carattere propri. Con la pur brava Valentina Cervi
lasciata un po troppo in primo piano, la storia
sembra più volte sfilacciarsi e uneccessiva
freddezza impadronirsi completamente della scena. Dove
sta la presunta passione del sottotitolo e che fine hanno
fatto i caratteri dei personaggi che ci rimangono chiusi
e inspiegabili? Perché Artemisia dovrebbe innamorarsi di
Tassi, e perché la Cervi nel tentativo di recuperare
uninnocenza che non sembra appartenerle più da
tempo si sforza in maniera ingenua di spiegarci la sua
sorpresa e il suo sbigottimento per la presunta
straordinarietà degli insegnamenti di Tassi che a noi
però non ci arriva?
La risposta è che questo
film è stato girato come un documentario e di questo
presenta tutte le caratteristiche migliori, mentre quello
che viene meno è proprio laspetto più umano e
viscerale. Più che di Passione estrema come
recita il sottotitolo si tratta di una levigatezza
estrema che non riesce a penetrare, però,
nellanima dello spettatore e nei suoi sentimenti.
Non sappiamo dire se la cura dei particolari abbia fatto
perdere di vista il tutto, certo è che questo film non
paga per la povertà delle idee, bensì per il suo esatto
contrario. Troppe idee sacrificate a una cappa di
curatissimi dettagli senza guardare laspetto più
semplicemente umano e passionale. Se al cinema cè
qualcosa che non si può dare per scontato sono proprio i
caratteri dei personaggi, almeno che è ovvio sullo
schermo non ci sia Schwarzenegger o Stallone in un film
dazione. E non è davvero questo il caso.
Metroland
Christian Bale - Emily
Watson - Lee Ross Sceneggiatura Adrian Hodges
tratta dal romanzo di Julian Barnes Regia Philip
Saville Anno di produzione 1997 Distribuzione Medusa
Durata 106
In un quartiere borghese
della Londra della fine degli anni Settanta due amici si
rincontrano dopo molti anni. Uno è sposato e ha un
lavoro impiegatizio che non lo soddisfa molto,
laltro è uno pesudo scrittore giramondo che
instilla nellamico la voglia di liberarsi di tutto
e tutti, facendogli ricordare il passato parigino e la
sua fidanzata francese.
È una lunga tradizione
quella britannica del confronto tra la borghesia e il suo
rifiuto. Presente a livello altro nei romanzi di Orwell
come Fiorirà lAspidistra o semplificata nei
fumetti di Bristow, nellepoca del pre-Tatcherismo
la media borghesia britannica ha avuto momenti di fulgore
a livello letterario e non solo. Dopo, con la sua
distruzione grazie al governo conservatore di Margareth
Thatcher, ha perso ogni importanza, mutandosi nella sua
versione degradata e ispirando tutti i film sulla piccola
borghesia a contatto con il sottoproletariato urbano che
conosciamo da Ken Loach in poi.
Ed anche per questo ha
ancora maggiore merito lintelligente film di Philip
Saville che sembra un lungo flashback sullapologia
e la critica di un passato che non esistono più. I due
mondi che vengono contrapposti, lessere francese e
lessere inglese, lessere fedeli e
lessere infedeli, lessere borghesi e non
esserlo, odiarlo e il non detestarlo, costituiscono
uninteressante dualismo, il cui radicalismo viene
ammorbidito dalla visione con tanto senno di poi di cui
possiamo usufruire adesso.
Insomma, una lunga
riflessione contornata da qualche inevitabile luogo
comune che si avvale di attori capaci a esprimere
pulsioni semplici eppure ancora oggi tabù, nel contesto
di unepoca ancora ingenua. Il Thatcherismo
distruttore è alle porte. La guerra delle Falklands, e
la fine dellInghilterra come la conoscevamo è
vicina, con in sottofondo il rumorosissimo punk sparato a
tutto volume.
Un film che sembra più un
"come eravamo" anziché unautentica
riflessione su un paese che ha perso la propria identità
proprio grazie a giovani che sono cresciuti con la voglia
di scappare da quartieri dove sono nati, per tornarvi e
accettare qualsiasi compromesso. La banalità dello
scontro tra i due mondi tra quello
borghese-sereno-presuntamente sereno e monogamico e
quello vagamente hippie, libero e artificiosamente felice
traspare come un macigno nei dialoghi dove Emily Watson
sembra avere sempre lultima parola come il famoso
cinese dei fumetti di Nick Carter. Con lamara
constatazione che quel mondo sta per essere spazzato via
e qualsiasi cosa viene detta o sancita è fatta soltanto
di parole al vento.
Marco Spagnoli
seconda
parte
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