LE STANZE DELLA MEMORIA
Dei ciliegi, l'albero simbolo nazionale del
Giappone, solo l'ombra.
La selezione di dieci arristi e dei loro
lavori operata da Kazuiko Tomita, giovane ma già affetmato designer
contemporaneo che víve tra Tokyo, Nagasaki, Pesaro, Venezia, Milano ed Este, sembra
infatti privilegiare il costante rapporto tra l'arte tradizionale del suo paese e gli
aspetti più salienti delle vicissitudini artistiche occidentali, proprie di quest'ultimo
mezzo secolo di storia.
Chi ancora avesse un'idea troppo tradizionale
dell'arte di quel paese, deve necessariamente abbandonarla, una volta entrato nelle stanze
di questa esposizione.
La storia sembra quindi ripetersi, ma in senso
inverso. Poco più di un secolo or sono l'arte del Giappone si era diffusa in tutta
Europa, influenzando non pochi artisti francesi, soprattutto dopo l'Esposizione Universale
a Parigi del 1867. Da allora, tuttavia, le tendenze aperte alle visioni occidentali
dell'arte, in Giappone si sono moltiplicate sia per contenuti che per tecniche espressive,
lambendo, nel secondo dopoguerra, i confini del Surrealismo e dell'Informale. Chi volesse
quindi ritrovare nelle opere ora esposte i temi dell'Ukiyo-e, il mondo fluttuante, della
Bunjin-ga, la pittura-poesia, o della Nan-ga, la pittura del Sud, non può che restare
deluso. Semmai può qui notare come le innovazioni, apportate all'inizio del secolo dal
movimento Sosaku Hanga, l'incisione creatrice che ha introdotto in Giappone nuove tecniche
incisorie quali la litografla, l'acquaforte, la serigrafia e la fotoincisione,
accostandole afla tradizione silografica, abbiano fatto molta strada.
Eppure del Giappone in questa mostra rimane
ancora molto nei segni incisi, disegnati o dipinti da questi artisti, alcuni dei quali
vivono, ormai da qualche decennio, in Svezia, Italia o Inghilterra.
E' questa, quindi, una mostra all'insegna
della memoria, del suo recupero e del suo svolgersi. Memorie personali e intime, memorie
nazionali e infine memorie artistiche. Sono appunto le tracce e i segni lasciati nel tempo
che ora vengono qui raccolti in queste "stanze della memoria".
I micromondi di Shuhey Matsuyama,
eseguiti sovrapponendo carta su carta e leggeri strati di colore, rimandano al senso del
suono, lo Shin-On, espresso attraverso i ritmi della materia e del colore. L'artista
coglie pertanto il vero suono interiore delle cose, in cui si esprime l'anima e I'essenza
del reale, con reciproci riferimenti all'arte sia occidentale, Kandinsky, Cézanne e Fontana,
che orientale, primo tra tutti Hokusai.
Ad essi sembrano opporsi, per violenza di
immagini, le collografie di Shoko Yomogizawa, una sorta di diario
giomaliero di esperienze personali in cui la materia appare in tutta la sua organicità.
Memorie quotidiane che atfondano le loro radici nel bozzolo delle forme.
Di segno totalmente differente sono invece le
incisioni di Toru Taki con i suoi giochi geometrici di colori nello
spazio, che danno vita a forme che si perdono e si confondono, ombre di fiori che si concentrano
sugli spigoli, fondamento e base per ogni flessuosa forma evanescente.
Anche le serigrafie di Ryoichi Shigeta,
tutte giocate sullo scambio di luce e ombra, di sogno e realtà, dei quali non resta
visibile che l'ambivalenza quale unica verità, rimandano al simbolo orientale del
Mandala, là dove il cerchio dell'unità si è tuttavia inesorabilmente spezzato. La sua
è ancora una ricerca sullo spazio, mediata dallo studio dell'arte europea di Kandinsky o
di Klee.
La medesima ambivalenza è presente anche
nelle incisioni della più giovane artista del gtuppo, Hiromi Sugiyama.
Ciò che prevale nella sua opera è soprattutto la violenza di un segno, rielaborato sul
linguaggio e sull'ideogramma cinese e giapponese, con gli opposti significati a cui i
segni rìmandano, una volta reinventati e recuperati dalla memoria. Un unico segno esprime
quindi l'ambivalenza di acqua o, se letto capovolto, di terra, matrici primarie
dell'universo.
Il retaggio dell'arte gestuale, propria
dell'Occidente, è presente invece nel calligrafismo di Yasuko Nakanishi,
ove la successione di punti, linee e macchie campongono un lungo itinerario verso la
riceraa dell'equilibrio, il medesimo presente anche nei frammenri di memoria ricomposti da
Minako Masui.
Più legato alla tradizione silografica
giapponese risulta invece Kenji Kume. La tecnica mokunhanga e la
stampa su carta washi, tipica del periodo d'oro della silografia giapponese antica,
vengono ora riproposte nell'indagine compiuta da questo artista sul mondo naturale. Sono le
interpretazioni delle stagioni e degli uccelli, che l'Occidente ha conosciuto nel corso
degli anni Venti di questo secolo attraverso i pochoir di Edouard Bénédictus,
uno dei rappresentanti più insigni della tendenza floreale e decorativa dell'Art Nouveau
europea, a sua volta ereditata dall'Oriente.
Passato e presente, Ocaidente e Oriente si mescolano
nei continui rimandi delle silografie a colori di Nana Shiomi. I suoi
Nirvana abitati dai segni dell'Oriente, Ia luna, il pino, l'acqua che scorre impetuosa o
che ristagna, ma anche quelli dell'Occidente, i riferimenti a Cèzanne e a De Chirico,
tentano una sintesi poetica di due culture che si incontrano nel nome della memoria, la
medesima che viene colta anche nelle maniere nere di Narumi Harashina. I
soggetti delle opere di quest'ultimo artista, forse il più letterario fra tutti, mostrano
inquietanti presenze che riaffiorano da mondi differenti. Sono maschere, giocattoli e
oggetti di mondi tra loro lontani, ma che la memoria restituisce nella lora profonda
vicinanza e unità, come in un sogno che con semplicità si vuole raccontare, sbirciando
dalla soglia di una porta.
Marco Fragonara |