FILM Febbraio 2000
ALTRE PELLICOLE IN ZONA OSCAR
Tutto su mia madre {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Tutto su mia madre è un moderno melodramma, dove
Pedro Almodovar esplora il campo minato dell’istituzione
familiare alla fine del Millennio. Una riflessione dolorosa
e a tratti accorata, piena di colpi di scena e densa di
situazioni e avvenimenti tramite i quali, è in grado di
offrire al pubblico la prospettiva di una nuova normalità.
Una consuetudine rinnovata, nata sulle ceneri dell’accezione
che l’aggettivo "normale" ha sempre avuto per
quello che riguarda i rapporti interpersonali. Nata dalla
necessità della finzione e dal rifiuto dell’incompatibilità
dei caratteri, la famiglia che ci mostra Almodovar è quella
dove sono sempre e comunque solo i veri sentimenti a
trionfare. Lontano dai perbenismi e superati i vecchi
vincoli matriarcali e patriarcali, il mondo sul cui sfondo
si muovono i personaggi di Tutto su mia madre è
profondamente cambiato. La polverizzazione perfino della
famiglia mono nucleare ha lasciato posto a un’entità
nuova e per il momento informe dove ha spazio chiunque lo
voglia e in cui ognuno ha il ruolo che si sceglie. Contro l’emarginazione,
il machismo e i luoghi comuni, l’utopia
almodovariana in cui è solo dagli sconosciuti che ti puoi
aspettare del bene, è in grado di dare vita a una pellicola
indimenticabile e che si potrebbe a ragione considerare come
il capolavoro per antonomasia del cineasta spagnolo. Un
trionfo della civiltà in cui tutti gli elementi chiave del
melodramma, in pieno contrasto con il genere telenovela, vengono
riutilizzati e reinventati per proporre una nuova arte,
capace di farci riflettere sul significato di parole come
maternità e amore. Una pellicola riuscita sia per l’acume
e la cura con cui è stata scritta dallo stesso regista la
storia che ha dato vita al film, sia per la grande forza
espressiva dei suoi interpreti. Tutte attrici bravissime,
ottime protagoniste di una delle più belle pellicole di
sempre dedicata alle donne e all’universo femminile in
piena espansione nel nostro presente
Magnolia {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Magnolia soffre dello stesso difetto di Boogie Nights.
Una noia dominante soverchia lo spettatore che si chiede
il significato rencodito della pellicola diretta da Paul
Thomas Anderson. Un film senza una particolare ironia che
soffre di numerosi difetti, soprattutto di natura
concettuale.
Nove vite di persone distanti tra loro che abitano nella
stessa città, nove storie quasi diverse unite
apparentemente dal filo rosso del caso, un legame effimero,
ma palpabile che il regista e autore Paul Thomas Anderson
ci pone dinanzi agli occhi con una notevole intelligenza
narrativa, non coadiuvata, ahimé, da una sceneggiatura
adeguata agli intenti. Il problema è, infatti, che
nonostante seguiamo il dipanarsi di queste esistenze per tre
ore e dieci di durata della pellicola, non ne capiamo
affatto le motivazioni. I personaggi rimangono in superficie
e l’introspezione è solo accennata. Qual è il senso di
tutta la storia? In che cosa risultano esemplari le vite di
un conduttore televisivo, malato di tumore con il vizio
della pedofilia, di una moglie fedifraga innamorata
tardivamente di un marito condannato a morte dal cancro, di
un bambino prodigio, di un ex bambino prodigio, di un
poliziotto noioso, di un infermiere sensibile, di un santone
del sesso, di una ragazza problematica? In realtà il dato
strano di Magnolia è che grazie ad attori come
Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman, Tom Cruise e Jason
Robards i personaggi sono più interessanti delle vite che
raccontano, intrecciate spesso in maniera forzosa al punto
di fare sembrare questo film come un sequel ideale,
ma non all’altezza di America oggi di Altman. E se
nel film di Anderson è una pioggia di rane (uno strano
fenomeno atmosferico, davvero…) a tirare i fili della
trama, nel fortunato predecessore era un terremoto a riunire
i protagonisti. Somiglianze eccessive per essere casuali,
per una pellicola che se funziona lo fa soprattutto in
virtù di un intrigante intreccio di storie diverse, aiutato
da una regia certamente più interessante della
rappresentazione dell’esistenza stessa dei singoli. Un
film di difficile interpretazione i cui personaggi sono
riuniti dalla ricerca di amore e dalla voglia di perdonare.
Sentimenti nobili è vero, ma piuttosto abusati dal punto di
vista cinematografico e narrativo.
Il talento di Mr.Ripley
{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Sembra un film degli anni sessanta eppure non lo è. Le
ambientazioni a Ischia, a Roma, a Sanremo (ma è Anzio in
realtà) a Venezia trasportano lo spettatore nell’Italia
di fine anni Cinquanta rendendo Il talento di Ripley quasi
un film in costume, dove a essere davvero camuffati sono
principalmente i sentimenti dei protagonisti. Eh già,
perché il talento oscuro di Mr.Ripley, un giovane mandato
da un potente magnate americano a recuperare lo scellerato
figlio in Italia dalle grinfie di una fidanzata
intellettualoide, dà vita a un thriller affascinante
nel più puro stile hitchcockiano. Dopo la pioggia di Oscar
de Il paziente inglese il regista Antony Minghella è
riuscito a tessere le fila di una pellicola intelligente dal
grande ritmo procacciatore di forti batticuori al pubblico,
che dei gialli anni Sessanta ha conservato soprattutto l’atmosfera
raffinata e lo spessore degli interpreti. Tutti famosi e
soprattutto tutti quanti vincitori o in odore di Oscar. A
partire dall’ambiguo Matt Damon, vincitore dell’Oscar
per la sceneggiatura di Will Hunting, continuando poi
con Gwyneth Paltrow (Oscar per Shakespeare in Love),
passando poi per Cate Blanchett e Philip Seymour Hoffman
(entrambi nominati all’Oscar negli anni scorsi) fino ad
arrivare a Jude Law, candidato all’Oscar proprio per l’intepretazione
dell’eccentrico Dickie Greenleaf, che usa le persone per
il suo piacere e che di tornare in America da Papà e mammà
proprio non ne vuole sapere.
Ironico, emozionante, esaltante, divertente, estremamente
astuto Il talento di Ripley è un film ottimo in ogni
suo aspetto. Già dall’inizio dei titoli di testa la regia
si rivela straordinaria e originale in grado di trascinare
il pubblico in bilico sul filo del rasoio per più di due
ore. Intensa la recitazione di tutti gli attori, perfette le
ricostruzioni degli ambienti, il film di Minghella è un
omaggio ad un certo tipo di cinematografia, le cui storie
difficili da rendere negli anni sono state spesso
sacrificate alla facile violenza per il gusto della violenza
e ai costosissimi effetti speciali. Il talento di Ripley si
ispira a un cinema della tensione dove sono gli sguardi e le
espressioni del volto le vere chiavi di lettura della trama
e dell’azione. Antony Minghella ha dato vita a una
pellicola la cui grande forza sta nella commistione
esplosiva ed emozionante tra passato e presente. Un thriller
dai profondi risvolti psicologici e umani in cui Matt
Damon porta alle massime conseguenze con la sua recitazione
asciutta e tagliente il gioco del destino e l’architettura
fatta di passioni e di bugie che viene costruita lungo tutto
il corso del film. Un film da non perdere per riconquistare
il gusto del grande cinema eccitante e ben costruito.
I
CINQUE FILM CANDIDATI ALL'OSCAR 2000
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Marco Spagnoli |