FILM Febbraio 2000
ALTRI FILM IN SALA
Risorse umane
(Ressources humaines) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Jalil Lespert – Jeane Claud Vallod – Chantal Barré
– Lucien Lougeville Sceneggiatura e Regia Laurent
Cantet Anno di produzione Francia 1999
Distribuzione MIKADO Durata 100’
Risorse umane descrive la vita degli operai delle
fabbriche francesi come quella di uomini abituati a soffrire
in un inferno anestetizzato dalla drammatica consapevolezza
di non potere permettersi un domani migliore. Risorse
umane si inserisce prepotentemente e degnamente nel
solco della grande tradizione europea del cinema operaio e
del lavoro. Un film che racconta la sofferenza e la
normalità dell’esistenza attraverso immagini scarne e
molto dirette, raccontando il paradosso del figlio di un
operaio, quasi laureato in economia, che andando a fare uno stage
presso la fabbrica dove lavora il padre, scopre i piani
della direzione per licenziare un gran numero di dipendenti
utilizzando come alibi l’attuazione delle cosiddette
"trentacinque ore". Tramite questo escamotage narrativo
Cantet mira a coinvolgere la coscienza dello spettatore in
maniera quasi shakesperiana, rendendolo impreparato ad
assistere a un dramma psicologico, in cui il protagonista
non sa se ribellarsi o meno a un sistema esortando il padre
allo sciopero, compromettendo così il suo futuro come
dirigente capitalista. Un interessante contrasto
generazionale e sociale, in cui il confronto diretto tra i
vecchi e i giovani di pirandelliana memoria sfocia nel più
tenero incontro emotivo di padre e figlio su un nuovo
terreno molto più sincero, sebbene ancora irto di ostacoli.
Un film sulla vergogna di essere nati figli di operai e
sulla ricerca di una vita diversa da quella dei propri
genitori.
Sbucato dal passato
(Blast from the past) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Brendan Fraser – Alicia Silverstone – Christopher
Walken Sceneggiatura Bill Kelly Regia Hugh
Wilson Anno di produzione USA 1999 Distribuzione UIP
Durata 106’
Cosa c’è di più divertente di vedere raccontata la
nostra modernità dagli occhi di qualcuno che le è
estraneo? Dopo gli alieni, dopo una serie di personaggi
provenienti dal passato e dal futuro per raccontarci la vita
di oggi vista attraverso i loro occhi, ecco un film che
oltre a sfruttare questo nodo narrativo abusato, ma ancora
ricco di possibilità, unisce anche una certa componente
sexy per complicare positivamente le cose. Adam ha, infatti,
il bel corpo e l’aspetto gentile del protagonista de La
mummia Brendan Fraser. Un giovane bene educato,
ricchissimo e che non ha mai baciato una ragazza, perché ha
passato i trentacinque anni precedenti della sua vita chiuso
in un bunker antiatomico, il giorno che i suoi genitori (il
padre è uno scienziato famoso) hanno pensato per colpa di
un equivoco che in seguito alla crisi cubana della Baia dei
porci, il Presidente Kennedy e Krusciov avessero scatenato
la terza guerra mondiale.
Quando si sbloccano le porte del rifugio nucleare, il
giovane va a fare provviste e conosce una ragazza di nome
Eva. Questa lo aiuta e se ne innamora, ma accetterà mai
questa strana storia che racconta? Un gioco ambivalente tra
passato e presente, per ridere della nostra modernità, per
prendersi gioco della paranoia americana riguardo la bomba
atomica e per stimolare un pubblico femminile nel seguire le
gesta di un uomo quasi perfetto. Tutti ingredienti comunque
di qualità per una commediola scipita e non particolarmente
brillante, che ha il suo grande pregio in una grande
leggerezza di fondo e in una scelta vincente dei suoi
protagonisti.
Pane e tulipani {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Licia Maglietta – Bruno Ganz – Antonio Catania –
Marina Massironi – Felice Andreasi Sceneggiatura Doriana
Leondeff e Silvio Soldini Regia Silvio Soldini Anno
di produzione Italia 2000 Distribuzione LUCE Durata
115’
Il migliore film italiano dell’attuale stagione
cinematografica; una pellicola originale e delicata, in cui
viene utilizzata una certa piacevole liricità abbastanza
inconsueta nel nostro cinema. Merito anche di un cast di
interpreti molto azzeccato su cui svettano i protagonisti
Licia Maglietta e l’attore feticcio di Wim Wenders, Bruno
Ganz, accompagnati da una simpaticissima Marina Massironi in
licenza dal gruppo di Aldo, Giovanni e Giacomo e da uno
straordinario Felice Andreasi. Pane e tulipani è la
storia di una ribellione non violenta di una donna qualsiasi
che stufa del suo ruolo di moglie e di madre, decide di
prendersi una vacanza. Dimenticata all’autogrill dal
pullman su cui era diretta a Roma insieme alla famiglia,
Rosalba decide di andare per qualche giorno a Venezia. Lì,
conosce un anziano cameriere islandese dal fascino molto
particolare che la ospita a casa sua. Lei – per niente
convinta di dovere tornare a casa – nel frattempo si trova
un lavoro e decide di sfuggire una vita che non la soddisfa,
iniziando a lavorare per un fioraio anarchico e condividendo
il sapore dell’avventura con una vicina di casa che fa la
massaggiatrice olistica. Ed è proprio nell’esplicitazione
dei sentimenti della donna, attraverso il lavoro e la
riconquista di talenti passati, che Soldini ha voluto
raccontare la storia di un’emancipazione morale e
spirituale non cruenta, da un mondo non gretto, ma
abbastanza insoddisfacente sul piano emotivo. Pane e
Tulipani è inoltre una commedia romantica con tanto di
storia d’amore i cui protagonisti non si baciano neppure e
si danno del lei per tutto il film. Un’opera molto
originale questa in cui il regista sembra rivendicare una
dimensione più europea per il nostro cinema e in cui si
sente l’inevitabile eco dell’ultimo Almodovar. Non tanto
per motivi inerenti a dei presunti rapporti tra le due
storie quanto piuttosto per un’evidente attingere a una
sorgente spirituale comune, in cui la figura femminile
conquista un carattere molto moderno, al punto da farci
osare dire che il personaggio interpretato egregiamente da
Licia Maglietta è la prima grande figura di donna del
cinema italiano del nuovo secolo. Resta solo da sperare che
molti altri la seguano e che Soldini prosegua in questo
viaggio di anarchia soft per riportare il pubblico e
il cinema a una maggiore consapevolezza. Se ciò accadrà
mai sarà solo grazie a film come Pane e Tulipani in
cui commedia, poesia e dramma psicologico si fondono in quel
connubio contradditorio e non lineare che peraltro coincide
con la nostra vita di tutti i giorni.
Otto donne e mezzo (Eight and half women) {Sostituisci con chiocciola}
John Standing – Matthew Delamere – Toni Colette –
Amanda Plummer Sceneggiatura e Regia Peter Greenaway Anno
di produzione Gran Bretagna 1999 Distribuzione Cecchi
Gori Durata 120’
La ricerca estetica di Peter Greenaway sfiora il delirio
in Otto donne e mezzo finto omaggio pecoreccio e
piuttosto autocelebrativo al cinema di Federico Fellini e
all’indimenticabile pellicola con protagonista Marcello
Matroianni. Privato inspiegabilmente del suo talento
geometrico e realmente dissacratore, il regista de I
misteri del giardino di Compton House e de L’ultima
tempesta dà vita a una pellicola grigia in cui sembra
solo fare il verso a se stesso. Un film che risente
notevolmente la mancanza del compositore Michael Nyman e
delle sue musiche cariche di mistero e che risulta per la
maggior parte del tempo noioso. E’ difficile, infatti, per
lo spettatore seguire i due ricchi protagonisti, padre
vedovo da poco e figlio, discettare di donne con una calma
‘chirurgica’, al punto di arrivare a crearsi un harem
solo allo scopo di verificare la validità delle proprie
astruse teorie. Un film vecchio nei suoi contenuti, in cui
Greenaway reitera fino a rasentare l’ossessività i pezzi
migliori del suo cinema, fondendoli in un’antologia visiva
molto debole dal punto di vista concettuale e irritante sul
versante onirico - visionario. I corpi che Greenaway
racconta, di donne prezzolate e di uomini flosci sono
soltanto un triste simulacro di una cinematografia
scandalosa e saldamente strutturata sul piano sostanziale.
Quello dell’autore britannico più che un omaggio Otto
donne e mezzo è un insulto al cinema di Federico
Fellini, intristito da uno pseudo sperimentalismo che
riporta il cinema del regista inglese indietro di trenta
anni e il pubblico a sfoderare un sentimento preponderante
di irritazione. Una reazione comprensibile dovuta all’erronea
e spossata reiterazione di una semiologia erotica simmetrica
e sorpassata, che sembrerebbe avere il punto di riferimento
principale nel libro di Roland Barthes dedicato al Giappone,
L’impero dei segni di cui manca l’obiettivo di
ripeterne l’intelligenza e la profondità concettuale.
Sarà stata l’ambientazione tra le banche ginevrine, ma
questo film ha qualcosa di mortuario e deprimente.
Nonostante la bellezza e l’eccentricità sessuale delle
protagoniste, Otto donne e mezzo è un film grigio,
un pallido riflesso del genio e del talento di Greenaway.
Tre Re (Three Kings) {Sostituisci con chiocciola}
George Clooney – Mark Wahlberg- Ice Cube – Spike
Jonze Sceneggiatura e Regia David O.Russell Anno
di produzione USA 1999 Distribuzione Warner
Brothers Durata 120’
Nonostante George Clooney ne sia l’indiscusso
straordinario protagonista, Tre Re è un film
profondamente deludente. Il suo inizio a razzo con una
macchina da presa a mano foriera di un eventuale mal di mare
agli stomaci deboli, il suo andamento incupito da una
fotografia grezza, una parte centrale davvero noiosa,
risollevata parzialmente da un finale dal ritmo giusto, non
sono altro che un pasticcio confusionario. Lo pseudo –
sperimentalismo del regista esordiente David O.Russell serve
solo a mascherare i buchi di una sceneggiatura fintamente
innovativa, che in realtà non fa altro che seguire più o
meno pedissequamente i cliché di un certo cinema
americano di vecchia data. Tre Re nello scorrere
della pellicola si rivela, infatti, più o meno un bluff .
La storia ‘trasgressiva’ di un gruppo di soldati
americani che in cerca del tesoro di Saddam durante la
guerra del Golfo si imbattono nei drammi della popolazione
civile e vengono toccati profondamente nella loro umanità
è soltanto un alibi per dare vita a un film dal ritmo
musicale martellante, nel disperato tentativo di supplire a
una notevole mancanza di idee nuove e soprattutto di trovate
geniali. Nonostante le innegabili estrosità divertenti e
soprattutto nonostante un discreto cast di attori su cui
svetta un fascinoso Clooney, mentre si assiste alle gesta
dei protagonisti di Tre Re non si riesce a scacciare
l’idea di trovarsi di fronte a una storia già vista,
eppure mascherata di nuovi e artificiosi sentimenti. I
cattivi americani non sono mai veramente tali (tranne gli
iracheni che, invece, malvagi lo sono quasi sempre per
davvero) e il cuore buono del soldato statunitense che
scopre i reali motivi per cui fa la guerra viene fuori per
un finale ultrabuonista all’insegna del ‘volemose bene’.
In più – e questo risulta francamente imbarazzante – il
tono crescente dell’ultima parte del film ricorda in
maniera eccessiva i western di Gary Cooper con frasi
e toni che stonano con la realtà sociopolitica del mondo
del ventunesimo secolo, aggravata da alcune incongruenze che
possono venire sintetizzate nella domanda: "Come
faranno a portare in America le tonnellate di lingotti d’oro
trafugate?".. Insomma, George Clooney e il suo
fascino scanzonato rimangono il migliore e forse unico
motivo per andare a vedere questo lungo e polveroso
videoclip intitolato Tre Re.
Il collezionista di ossa
(The bone collector)
{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Denzel Washington - Angelina Jolie – Queen Latifah Sceneggiatura
Jeremy Iacone tratta dal romanzo omonimo di Jeffrey
Deaver Regia Philip Noyce Anno di produzione USA
1999 Distribuzione Columbia Tristar Durata 120’
Era tempo ormai che il fenomeno letterario Jeffrey Deaver,
trovasse la sua consacrazione cinematografica in una
pellicola di grande qualità. In questo senso Il
collezionista di ossa terzo dopo Le lacrime del
diavolo e Il silenzio dei rapiti è un libro
molto interessante dalle venature colte, che lo rende un
prototipo perfetto per il cinema legato al genere thriller
in perenne crisi di buone idee. Sebbene lo stile
originale di Deaver e le sue innovazioni sexy e affascinanti
siano vagamente impoveriti ed edulcorati dalla loro resa
cinematografica, si può dire ben che il film interpretato
egregiamente da Denzel Washington e da una seducente
Angelina Jolie (due bellezze diverse e davvero appetitose
per il pubblico di entrambe i sessi…) sia uno specchio
abbastanza fedele delle istanze della letteratura di quello
che è considerato come l’erede naturale di Thomas Harris.
Come Il collezionista di qualche anno fa,
interpretato da un’altra coppia mista Morgan Freeman –
Ashley Judd, Il collezionista di ossa è una
pellicola tutt’altro che prevedibile, permeata dalla
psicologia dei serial killers e incentrata sulla loro
voglia di esibizionismo. Una riflessione interessante che
dota il film di una grande razionalità stile X files mista
all’azione che poteva essere realizzata solo da un regista
provetto come Philip Noyce Un connubio efficace e dalle
grandi potenzialità narrative, in grado di creare l’atmosfera
giusta per una tensione tutt’altro che scontata nel cinema
dei cloni di Seven. Un film intenso ed emozionante
che trova il suo momento più alto e originale nel confronto
tra l’esperto di serial killers ridotto a vivere su
un letto multitecnologico, e una giovane poliziotta dal
grande intuito. I due interpretati da Denzel Washington e
Angelina Jolie danno vita a una storia in cui non si può
fare a meno di percepire una grande tensione di natura
erotico - spirituale. Di contorno a tutto questo c’è un
maniaco omicida che lascia una serie di indizi per farsi
acchiappare e dimostrare qualcosa a qualcuno. Il
collezionista di ossa si eleva rispetto a tante altre
pellicole del genere, per una grande autonomia di fondo e
per una certa intelligenza narrativa dovuta al grande
talento del regista Philip Noyce, già autore di film forse
non particolarmente riusciti come Il santo, ma di
grande impatto emotivo come Giochi di potere e Sotto
il segno del pericolo con protagonista Harrison Ford. E
anche in questo film sono proprio le emozioni a fior di
pelle, con scariche di adrenalina dovute all’efferatezza
dei delitti a comunicare una grande tensione al pubblico. L’avvenente
poliziotta che viene mandata sola avanti ai suoi compagni
per reperire indizi è un po’ il segno di un cinema d’azione
che pur mantenendo ben saldi alcuni suoi ingredienti
canonici, tenta di stimolare il pubblico soprattutto dal
punto di vista intellettuale. Una tendenza confermata anche
dal finale bibliofilo – letterario, reso ancora più
esplosivo da una regia dal grande ritmo. Che sia forse
questa la chiave di lettura per il cinema noir del
futuro?
Mickey Occhi Blu (Mickey Blue Eyes) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Hugh Grant – James Caan – Jeanne Tripplehorn Sceneggiatura
Adam Scheinman & Robert Kuhn Regia Kelly
Makin Anno di produzione USA 1999 Distribuzione UIP
Durata 101’
Modellato sui ruoli avuti in Notting Hill e Quattro
matrimoni e un funerale, il battitore di aste inglese
interpretato da Hugh Grant e perdutamente innamorato di una
fidanzata con una famiglia un po’ particolare e invadente,
è niente altro che Hugh Grant e basta. Eppure, nonostante
la sua prevedibilità e anche l’ovvietà di certe
situazioni generate dalla presenza nel cast del veterano
della saga de Il padrino James Caan, Mickey Occhi
Blu funziona grazie a dialoghi irresistibili pieni di
battute fulminanti e un senso sviluppato del senso della
commedia riletto dal punto di vista fisico. Più vicino al
cinema dei Fratelli Marx che a quello raffinato del
romanticismo spiritoso delle pellicole con Julia Roberts e
Andie McDowell, Mickey Occhi Blu soprende per una
notevole freschezza e per la sua grande capacità di
prendere in giro non solo un certo filone cinematografico di
spargimenti di sangue e debiti d’onore, ma anche il suo
interprete principale che si presta allegramente a questa
scanzonata parodia di se stesso. Poco più di un’ora e
mezza da trascorrere in maniera molto divertente nel seguire
le gesta di Grant tra spaghetti sconditi al pomodoro e buffe
canzoni italo americane. Un incontro dai risvolti comici
prevedibili, ma anche irresistibili grazie all’intelligente
sviluppo della trama e la massimizzazione della resa dei
caratteristi tra cui il granitico Joe Viterelli già visto
in Terapia e pallottole al fianco di Robert De Niro,
pellicola che insieme a Mafia! ha decisamente aperto
un nuovo filone umoristico.
ALTRE
PELLICOLE IN ZONA OSCAR
I
CINQUE FILM CANDIDATI ALL'OSCAR 2000
Marco Spagnoli |