index SPETTACOLO&MODA - Marzo 1998


I film di marzo 1998

Boogie Nights

Mark Whalberg - Burt Reynolds - Julianne Moore - Heather Graham Sceneggiatura e Regia Paul Thomas Anderson Anno di produzione 1996 Distribuzione Cecchi-Gori Durata 155’

Se questo film che racconta la Los Angeles a cavallo tra Settanta e Ottanta e la sua industria del porno, fosse durato almeno quaranta minuti di meno, allora sì che avremmo potuto parlare di una pellicola interessante, a tratti divertenti e - per certi versi - assai coraggiosa e innovativa. Purtroppo, un’inutile dovizia di particolari e una spiacevole propensione alla lungaggine rendono, dopo un’ora di grande cinema, Boogie Nights un film estremamente noioso e irritante. Si parla troppo, i personaggi sono slegati e un inutile paternalismo di marca tipicamente americana sembra dovere necessariamente inneggiare all’Happy ending. Se rimarchevoli sono le ricostruzioni dell’epoca e divertente è la colonna sonora sempre in primo piano, l’interpretazione del cast è complessivamente buona con un Burt Reynolds tornato finalmente in gran forma. Un’occasione sprecata per il regista Paul Thomas Anderson che se avesse saputo osare di più col montaggio, avrebbe evitato di dare l’aria a Boogie Nights di volere essere un documentario celebrativo di un aspetto poco conosciuto del cinema americano.

Naja

Enrico Lo Verso - Lorenzo Amato - Francesco Siciliano - Adelmo Togliani - Stefano Accorsi - Claudia Pandolfi Sceneggiatura e Regia Angelo Longoni Anno di produzione 1998 Distribuzione Cecchi Gori Durata 90’

Un riuscito spettacolo teatrale è sempre difficile da trasporre al cinema, anche quando a farlo è il suo autore, un abile Angelo Longoni che vediamo più portato a commedie di qualche spessore anziché al caraibico e recentemente deludente Facciamo Fiesta.

fotoDella piéce teatrale Longoni non riesce a trasportare le originali claustrofobicità e disperazione, cercando di fornire movimento alla scena con un montaggio spesso incongruo e inutile. Ma nonostante queste difficoltà, nonostante un finale buonista e banaluccio, nonostante la sempre più affascinante Claudia Pandolfi sia relegata a poco più di un ruolo di contorno, proprio grazie a un testo interessante e particolare, il film risulta riuscito e efficace. In una domenica pomeriggio, tra cinque militari consegnati in caserma per errore, esplodono tutte le incongruenze e tutte le miserie della vita moderna. Metafora, ma anche ring e campo di battaglia, la caserma diventa un luogo di inutile confronto per uomini che non si incontreranno mai più e cui la vita farà prendere strade diverse. Un film sui vinti e sugli sconfitti di una società in crisi e una pellicola di cui tutti i valori sembrano riflettersi negli occhi della bella Pandolfi portatrice di una "buona novella" funzionale alla trama e unica fonte di speranza per un’esistenza nuova e pulita. Ottimo il cast di attori affiatati su cui si erge un Enrico Lo Verso, acuto interprete e portatore dei valori di giustizia e di eguaglianza che sembrano essere l’unico orizzonte positivo nel disfacimento morale degli occupanti della caserma.

Crimini invisibili (The end of violence)

Bill Pullman - Andie McDowell - Gabriel Byrne; Sceneggiatura Nicholas Klein; Regia Wim Wenders; Anno di produzione 1997 Distribuzione Cecchi Gori; Durata 128’

La violenza e la sua fine nel cinema come nella vita di tutti i giorni. Questo è lo scopo di un produttore cinematografico di serie di successo (Bill Pullman), braccato dall’Fbi per avere ricevuto un "rapporto confidenziale" su un’operazione di controllo dell’intera Los Angeles con satelliti e telecamere. Tutti quelli che vengono in contatto con questa realtà finiscono - in una maniera o nell’altra - per morire. Questo capita metaforicamente anche al produttore la cui parte peggiore scompare in un rapimento che era destinato a ucciderlo. Lascia tutto, perde tutto per riconquistare se stesso.

Per sempre. Questo film poteva essere qualcosa di più importante e interessante : una regia perfetta mista a una recitazione pacata e diretta con originalità da Wenders, fotografata da un’ambientazione affascinante poteva produrre un risultato notevole. Eppure la dimensione "hollywoodiana" di uno dei maggiori cineasti europei non convince a causa di un’ibridità spesso noiosa, con dei dialoghi che stridono maledettamente con la loro ambientazione. Una scatola senz’anima, o meglio un’opera con un contenuto che non gli appartiene e che avremmo visto portato avanti più onorevolmente da una pellicola diversa e più intima. Crimini invisibili , invece, risulta un film lungo e noioso a causa delle sue tante incongruenze, che anche il titolo italiano vuole fare tristemente assomigliare a una pellicola su killer e complotto, anziché a un’ispirata riflessione sulla violenza e sulle sue molte forme.

Paradiso Perduto (Great Expectations)

Ethan Hawke - Gwyneth Paltrow - Ann Bancroft - Robert De Niro Sceneggiatura Mitch Glazer; Regia Alfonso Cuaròn; Anno di produzione 1997; Distribuzione Twentieth Century Fox; Durata 111’

Due bimbi, poi due ragazzi, poi un uomo e una donna. Un’anziana ricca, uno zio buono, un ricercato dal cuore d’oro, i quadri, l’arte, l’amore, l’ossessione. Questa è la stoffa con cui è intessuta questa bella favola ispirata a un romanzo di Dickens raccontata con grande maestria da uno dei più brillanti giovani registi a Hollywood, Alfonso Cuaròn. Paradiso Perduto è una fiaba adattata ai giorni nostri in cui si smette - spesso - di sognare. Un lungo sogno ad occhi aperti in cui si vive una strana e complicata storia d’amore circondata da personaggi stravaganti e simpatici. Meravigliosa e fastosa l’ambientazione, seducenti le musiche, sontuosa la fotografia capace di rendere irresistibile perfino la rigida Gwyneth Paltrow, ex fidanzata di Brad Pitt. Una favola dai toni smorzati e dai colori sensualissimi che vede il suo inizio all’interno della villa Paradiso Perduto in cui un bambino capita per caso a giocare con una bambina dai capelli biondi di cui si innamorerà perdutamente. Gli ingredienti ci sono tutti con due ruoli cameo quello di Ann Bancroft e quello di Robert De Niro davvero superlativi perché capaci di trasformazioni improvvise possibili solo a due grandi attori. Un film invitante, seducente con le strutture e il lieto fine tipici della fiaba. Con l’unica spiacevole nota negativa di un’eccessiva apologia del lusso, giustificata dal fatto che il povero per amare la ricca deve smettere di essere povero. Fortuna che la vita vera - come ci insegna il cinema stesso - è molto diversa...o no?

La baia di Eva (Eve’s bayou)

Samuel L. Jackson - Lynn Whitefield - Debbi Morgan - Jurnee Smollet; Sceneggiatura e Regia Kasi Lemmons; Anno di produzione 1997; Distribuzione Lucky Red; Durata 100’

Una baia che porta il nome di una maga dove tutti gli abitanti di colore della zona si sentono suoi discendenti e la storia di una famiglia nera nel 1962 sono al centro di questo intelligente e affascinante film della regista esordiente Kasi Lemmons. Un film ben girato con una storia a metà tra il fantastico infarcito di riti vodoo e di visioni e i sapori e i colori della Louisiana. Una pellicola capace di portare indietro nel tempo, con una cura dei particolari storici perfetta e attenta. Una regia virtuosa, resa ancora più piacevole da un gruppo di attori efficacissimi nel rendere le storie e i drammi di una famiglia dominata da un padre donnaiolo (Samuel L. Jackson) con tre bambini dove la piccola Eva (un’ottima Jurnee Smollett) diventa l’erede di una tradizione secolare di spiritismo e magia. Uno spaccato di un’epoca, ma anche di una tradizione nera che è andata perdendosi negli ultimi anni. Una riflessione disincantata, ma non per questo priva di magia sul mondo degli adulti visto dagli occhi di una bambina, con quel pizzico di ironia da film di grande qualità e spessore.

Spawn

Michael J. White - John Leguizamo - Martin Sheen - Theresa Randle; Sceneggiatura Alan McElroy; Regia Mark Dippé; Anno di produzione 1997; Distribuzione Cecchi Gori; Durata 98’

Ed eccolo qui l’ultimo dei più fortunati eroi dei fumetti arrivare sul grande schermo con un suo film. Creato dalla matita di Todd McFarlane, Spawn è uno dei personaggi dei comics più fortunati degli ultimi anni al punto di superare le vendite di altri superoi come Batman, Superman e L’uomo ragno. Spawn nasce dagli abissi degli inferi dove un complotto tra Malebolge, Signore dell’Inferno e il corrotto capo della Cia interpretato da un inedito Martin Sheen lo ha spedito. Spawn nella sua vita terrena era Al Simmons (Michael J. White), un agente segreto tradito dal suo stesso capo. Ora ritorna sulla terra dotato di superpoteri e assetato di vendetta. Un film per ragazzi, con alcune incongruenze tipiche dei fumetti, pieno di effetti speciali interessanti creati dalla Industrial Light & Magic di George Lucas, con tanta ironia e tante battute. Non è certo un capolavoro, ma è un godibilissimo tributo a un personaggio dei fumetti entrato nel cuore di milioni di fans in tutto il mondo. Davvero straordinario è, invece, il trucco di John Leguizamo irriconoscibile nella sua doppia maschera di clown infernale e di nemico giurato di Spawn. Un film divertente, a tratti appassionante e con la certezza del lieto fine con tanto di eroe avvolto nel suo meraviglioso mantello.

The full monty

Robert Carlyle - Tom Wilkinson - Mark Addy: Sceneggiatura Simon Beaufoy; Regia Peter Cattaneo; Anno di produzione 1997; Distribuzione Twentieth Century Fox; Durata 91’

The Full Monty è un miracolo. Un film che è costato due lire, interpretato da attori pressoché sconosciuti, da un regista poco più che esordiente e che ha letteralmente sbancato i botteghini di tutto il mondo con la sua ironia e il suo divertimento intelligente. Come si possono, infatti, raccontare i drammi della disoccupazione, le follie del governo thatcheriano, i dolori familiari per la mancanza di denaro, l’emarginazione e l’alcolismo? Con una pellicola intelligente e divertente da avere le lacrime agli occhi è la risposta del regista Peter Cattaneo che nel suo film - il cui titolo significa letteralmente lo spogliarello che riduce completamente nudo chi lo esegue - racconta la storia di un gruppo di operai disoccupati che per sbarcare il lunario si trasforma in una "scassatissima" equipe di spogliarellisti. Una pellicola per la quale non bastano elogi e che è assolutamente perfetta. Esilarante, intelligente, ironico, corrosivo a tratti perfino commovente, The Full Monty appartiene a un cinema di qualità europeo e moderno che dimostra che le idee contano sempre di più delle star e degli effetti speciali hollywoodiani. Un film che ha un pericoloso risvolto finanziario. Quando viene visto una volta, si vuole subito rivedere, perché durante la visione sono tali e tante le risate da coprire la comprensione delle battute a ripetizione e delle situazioni comiche a getto continuo. The Full Monty incarna del tutto ciò che disse il critico Gerard Genette : "Il comico è il tragico visto di spalle".

Amistad

Dijmon Hounsou - Matthew McCounaghey - Morgan Freeman - Anthony Hopkins - Nigel Hawthorne - Pete Postelwhite Sceneggiatura David Franzoni; Regia Steven Spielberg; Anno di produzione 1997; Distribuzione UIP; Durata 155’

Amistad non ha il pathos di Schindler’s List, perché un’inspiegabile freddezza sembra circondare l’intera pellicola nonostante momenti di grande cinema incentrati su attori del calibro di Anthony Hopkins e Morgan Freeman. Eppure, Amistad è un tributo civile e doveroso alla testimonianza della verità da parte di un regista come Steven Spielberg il cui incessante "culto della memoria" porta a scoprire e raccontare un altro tipo di Olocausto, ovvero il sacrificio di milioni di schiavi neri, rapiti dalle loro terre e trasportati al di là del mare per vivere (quando non morivano per le terribili torture) una vita di dolore e patimento, trattati come esseri senza alcuna dignità. Ruvido, duro, lento e doloroso. Così è Amistad, omaggio alla civiltà del diritto e del culto della libertà rappresentato dall’ex presidente dei neonati Stati Uniti John Quincy Adams (Antony Hopkins) che difese la causa di quarantaquattro africani accusati di essersi ribellati ai loro aguzzini e "padroni" spagnoli. Un film che - forse - presenta delle lacune dal punto di vista strettamente cinematografico come il dilungarsi eccessivamente su determinate situazioni e su alcuni personaggi, eppure anche un film di un profondo sentimento di umanità con un racconto della vita di Cristo paragonata a quella dei neri della nave ammutinata Amistad che fa inumidire gli occhi con lacrime di commozione. Un film da vedere per ricordarsi il dovere di non dimenticare mai. Nel nome dei fondatori del diritto e dei propri avi nati liberi.

Starship Troopers

Casper Van Dien - Denise Richards - Dina Meyer - Jake Busey Sceneggiatura Ed Neumeier Regia Paul Verhoven Anno di produzione 1997 Distribuzione Buena Vista International Durata 128’

Quello che a prima vista potrebbe apparire come un film del genere tecnosplatter dalle venature fantascientifiche, in realtà offre una maggiore serie di spunti di riflessione di quanto potrebbe sembrare a un’analisi superficiale. È vero : la storia di un esercito di soldati intergalattici del futuro formati in una società militare e fascista potrebbe - a prima vista - sembrare un po’ debole e scontata. Ma il genio e l’ironia del regista olandese Paul Verhoven (Atto di forza, Basic Instinct) trasforma la storia di un gruppo di fanti spaziali mandati a combattere degli insetti giganti nelle profondità dell’Universo in una metafora futurista di una società guerrafondaia e geneticamente perfetta che sacrifica i suoi giovani in nome dell’espansionismo aggressivo e militare. I toni e i colori sono quelli tipici della società descritta nella pubblicità televisiva.

Non a caso la maggior parte degli attori ha recitato in telefilm come Beverly Hills 90210 e la loro interpretazione è sempre tenuta su un livello ironicamente poco più che post-adolescenziale, ma c’è da capirlo : Starship Troopers è, infatti, poco più che un fumetto militaresco, con nemici voraci e - tra l’altro - incolpevoli. Dei buoni ingredienti per una pellicola che dura un paio d’ore da trascorrere in un futuro che assomiglia tremendamente al nostro presente. Insetti schifosi a parte, ovviamente...

Il destino (Al Massir)

Nour El Cherif - Laila Eloui - Mahmoud Hémeida Sceneggiatura Khaled Youssef & Yuossef Chahine Regia Youssef Chahine Anno di produzione 1997 Distribuzione MIKADO Distribuzione 135’

Abbiamo visto pochi film emozionanti come Il destino dove l’avventura del pensiero va di pari passo con la profonda moralità e umanità di un uomo che è filosofo, che è giudice, ma che è anche marito e padre. "Tutti i veri filosofi sanno ballare" - ha dichiarato il regista egiziano Youssef Chahine che con questo bel film ha vinto il premio del cinquantenario allo scorso Festival di Cannes. E come dargli torto quando vediamo Averroé danzare nella Spagna andalusa del dodicesimo secolo e giudicare con sapienza le cause degli integralisti che lo odiano perché conosce il Corano e rinnega l’intolleranza ? I libri, la filosofia, l’amore, la musica, la danza e l’odio si intrecciano nelle oltre due che ci vengono proposte dal regista nato a Alessandria oltre settantadue anni fa. Il destino è una metafora della ragione contro l’integralismo di ogni tempo, una accorato e saggio apologo per dimostrare e raccontare che il pensiero non può essere fermato o bruciato nei roghi di libri dei fanatici musulmani, ma anche nei roghi fascisti, nazisti e talebani che si sono stagliati contro i cieli azzurri dei vari secoli. Così Il destino raggiunge un valore universale e Averroé, l’amante della sapienza - condannato con la calunnia all’esilio - deve partire a causa della sua profonda eticità contro ogni tipo di corruzione : del potere, della religione, del fanatismo. Nella sua partenza e nel suo gesto apparentemente folle di bruciare lui stesso un suo ultimo libro scampato al rogo degli ignoranti e vuoti fanatici c’è la sfida della saggezza contro l’idiozia. Un pensiero che non stato sconfitto perché si fonda sulla libertà e sulla saggezza. Chi va a Cordoba oggi può trovare una statua dedicata a Averroè e nemmeno una parola riguardo ai suoi persecutori. Segno che il pensiero libero può volare e non essere messo a tacere, mentre il fanatismo sì.

Un film - dunque - intelligente e interessante con un forte gusto arabo che per certi versi lo fa assomigliare più a un musical oppure a un western che a un film che racconta di un sapiente filosofo vissuto oltre settecento anni. Un film che sebbene contempli qualche piccola pecca sul piano stilistico (e lo stesso parlarne ci sembrerebbe una tipica ottusità critica) è emozionante, intrigante e affascinante al tempo stesso. Un film che insegna a imparare e a non sottovalutare mai il potere del buio delle tenebre. Insomma, una pellicola civile, etica e morale che ci arriva dal mondo arabo. Segno che la sfida di Averroé è ancora portata avanti da molti seguaci. Di tutte le epoche e di tutte le aree geografiche perché - come dice un personaggio del film - "Gli uomini di cultura non hanno patria e vengono tutti dalla stessa terra" .

L’ultimo capodanno

Monica Bellucci - Beppe Fiorello - Francesca d’Aloja - Alessandro Haber - Angela Finocchiaro Sceneggiatura Niccolò Ammaniti e Marco Risi Regia Marco Risi Anno di produzione 1998 Distribuzione Istituto LUCE Durata 100’

Se questo film non fosse così prevedibile e così "riconoscibilmente romano", potremmo tributargli molti meriti in più di quanto in realtà possiamo fare.

L’ultimo capodanno è, infatti, un film intelligente, con forti venature comiche e ironiche "nuove", dovute soprattutto all’ispirazione datagli dallo scrittore della gioventù cannibale Niccolò Ammaniti, che vede la partecipazione corale e divertita di moltissimi attori capaci. Su tutti gli attori - però - si erge un sorprendentemente bravissimo Beppe Fiorello nel ruolo di un italian-gigolò. Una seducente Monica Bellucci, eccessivamente legnosa (come al solito) e dalla recitazione incerta, cui tutto si perdona per la grande bellezza e per il fisico dirompente, è - invece - la protagonista femminile principale dei tanti piccoli episodi collegati nel capodanno vissuto da un condominio bene di una zona residenziale di Roma. C’è l’avvocato sadomaso (Alessandro Haber), c’è la famigliola felice con il padre cui sono stati regalati dei fari per l’auto d’epoca (Piero Natoli), c’è la Bellucci nel ruolo di donna tradita, c’è un gruppo di ladri che discetta sulle olive all’ascolana.

Insomma, in questo film sono presenti tutti gli ingredienti tipici della cosiddetta "commedia all’italiana" . Certo, L’ultimo capodanno è una pellicola da fine del millennio anche per il nostro paese e purtroppo tante energie e altrettante piccole trovate sono state smorzate nella loro riuscita da un’incapacità di venire fuori dallo scontato e nel sapere essere del tutto indipendenti dai troppi riferimenti cinematografici.

Un film che riflette con ironia su una società allo sbando, e che vorrebbe essere un manifesto contro il cattivo gusto e l’omologazione imperante. Ci riesce ? In maniera solo parziale, a causa di un’eccessiva regionalizzazione del lessico comico e a un’incapacità di forzare determinate situazioni in maniera veramente eversiva e anarchica. L’omologazione al Pulp, infatti, di per sé non significa nulla e non regala niente.

U - Turn

Sean Penn - Jennifer Lopez - Nick Nolte - Claire Danes - Billy Bon Thornton - Jon Voight Sceneggiatura John Ridley tratta dal suo romanzo Cani Randagi Regia Oliver Stone Anno di produzione 1997 Distribuzione Columbia Tristar Durata 125’

Cosa succede quando un grande regista come Oliver Stone decide di girare un film a basso costo che racconta una storia vagamente Pulp nel mezzo del deserto del Nevada a pochi chilometri da Las Vegas ? In questo caso nasce U Turn un film talmente intelligente e moderno nel senso più pieno del termine da rischiare di essere definito come un vero e proprio "pezzo raro" all’interno della cinematografia degli anni Novanta. Gli ingredienti della pellicola sono semplici, ma non per questo scontati o facili : riprese spericolate con una padronanza della macchina da presa e dell’immagine come solo Oliver Stone e pochi altri sanno fare miste a una storiella deliziosa che unisce il caso nel senso più novecentesco del termine a una storia di incesto e gangsterismo, interpretata da un cast di attori tutti bravissimi nel rendersi docili agli ordini di un Oliver Stone in grandissima forma. Questo è il segreto di un film che costringe ancora una volta a complimentarsi con Stone per avere sapere sfruttato ogni oltre limite immaginabile il suo talento visionario e amante del deserto.

U Turn è una pellicola che lascia veramente soddisfatti perché non è mai scontata e riesce a tenere sempre gli spettatori sulla corda non solo appassionandoli da matti alla storia, ma facendoli anche sbellicare dalle risate con le tante situazioni al limite del paradossale. Un film che costa poco, che è pieno di idee e che viene dominato dalla sensualissima bellezza di Jennifer Lopez e dall’ironica interpretazione di un sempre più bravo Sean Penn. Insomma - come al solito e più del solito - un grandissimo Oliver Stone.

Il macellaio

Alba Parietti - Miki Manojlovic - Giulio Base - Lorenzo Majnoni Sceneggiatura Aurelio Grimaldi tratta liberamente dal romanzo Il macellaio di Alina Reyes Regia Aurelio Grimaldi Anno di produzione 1998 Distribuzione MEDUSA Durata 80’

Non basta un’Alba Parietti a dare un tono erotico a una pellicola banale, scontata e pecoreccia. Anzi, la presenza sul grande schermo della showgirl riesce - se possibile - a peggiorare le cose. I turbamenti erotici di una signora borghese per un trucido macellaio nella Palermo degli Anni Novanta sono raccontati in maniera così sorprendentemente scontata e incredibile da fare inorridire chi si è avvicinato anche per poco al romanzo della Reyes. La Parietti è inespressiva e dalla sensualità così plastificata e innaturale da fare sembrare questo film piuttosto una parodia di una pellicola erotica. Nelle scene erotiche, infatti, l’attrice - se così vogliamo chiamarla per comodità - è fredda, rigida e riesce solo a "scimmiottare" una presunta sensualità.

Attori dalla recitazione prevedibile e complessivamente pessima fanno da contorno a questa orribile pellicola, costellata da incongruenze assurde. Un film - francamente- brutto e dal messaggio incomprensibile. Sebbene Alba Parietti e il regista Grimaldi (Lo stesso del fascinoso La discesa di Aclà da Floristella, ma dove sarà il baccello che lo ha trasformato ? ! !) insistano su tanti aspetti personali e interiori della pellicola, noi - davvero - non siamo riusciti a trovarne nemmeno uno solo di questi che loro citano. Probabilmente sono solo abbozzati o sono rimasti tra le pagine della sceneggiatura. Un consiglio : lo spettatore venga fornito di manuale la prossima volta che si vorrà trasformare in cinema d’autore un’operazione puramente commerciale e fallimentaria.

Figli di Annibale

Diego Abatantuono - Silvio Orlando - Valentina Cervi Sceneggiatura Diego Abatantuono e Davide Ferrario Regia Davide Ferrario Anno di produzione 1998 Distribuzione MEDUSA Durata 92’

Con Figli di Annibale il regista Davide Ferrario si conferma come uno dei più capaci e intelligenti autori italiani. Dopo il successo del recente Tutti giù per terra, Ferrario ci propone, infatti, un’altra pellicola esilarante, controcorrente e capace di essere al tempo stesso un ottimo spunto di riflessione su tante realtà del nostro paese.

La fuga verso sud di un disoccupato costretto a fare rapine (Silvio Orlando) e di un imprenditore squattrinato (Diego Abatantuono) diventa, dunque, una sorta di metafora di un esotismo politico e culturale, capace di divertire e fare riflettere al tempo stesso.

Ed è questo quello che ci piace di più di Ferrario : la capacità molto rara tra i cineasti del nostro paese di realizzare ottime pellicole originalissime per temi e proposte che oltre a divertire riescano a costringere lo spettatore a riflettere sulle situazioni proposte sulla scena. Unita a una capacità quasi unica di realizzare inquadrature interessanti, sempre significative e mai scelte a caso, Ferrario dirige i suoi attori con abilità di dosaggio e simpatia. Infatti, tutto il cast recita con grande equilibrio e personalità, senza mai fare il verso a se stesso (Abatantuono soprattutto) e dando una prova molto originale e convincente.

Kundun

Tenzin Thutob Tsarong - Gyurme Tethong - Tencho Gyalpo - Sonam Phuntsok Sceneggiatura Melissa Mathison Regia Martin Scorsese Anno di produzione 1997 Distribuzione MEDUSA Durata 133’

Martin Scorsese dirige in maniera commovente un film sulla vita del quattordicesimo Dalai Lama che vuole essere non solo un tributo alla propria fede buddista, ma anche una denuncia contro lo spietato espansionismo militare cinese, macchiatosi della distruzione della società metafisica presente in Tibet fino al 1950, anno dell’invasione da parte delle truppe di Pechino.

Interpretato da attori sconosciuti e bravissimi, sottotitolato in italiano, Kundun è una pellicola mistica che - al limite del documentaristico - unisce immagini piene di cura e di sogno, a una storia affascinante, raccontata con sensibilità e accorata commozione.

Kundun ha i toni della fiaba - pur non essendolo - e spiega, in maniera semplice, ma anche molto filosofica e spirituale i perché della fede e dei principi buddisti.

Girato in Marocco a causa del divieto delle autorità cinesi di girare in Tibet, Kundun prende nome dall’appellativo con cui viene chiamato il Dalai Lama.

Una pellicola molto distante dallo Scorsese cui siamo stati abituati, piena di un misticismo morale e spirituale che riconciliano lo spettatore con la propria interiorità.

Un gioco di immagini, parole ed emozioni che è e resta una pietra miliare della storia del cinema.

The game

Michael Douglas - Sean Penn Regia David Fincher Anno di produzione 1997 Distribuzione Cecchi Gori Durata 128’

È un film molto particolare quello che vede tornare Michael Douglas sullo schermo nel ruolo di un ricchissimo e annoiato miliardario cui viene fatto un misterioso regalo che cambierà del tutto la sua vita. Per la regia di David Fincher (Seven, Alien 3) questo psicho-thriller presenta numerosissimi lati fascinosi e inquietanti. Una storia dura, la cui soluzione non uscirà fuori fino alla fine con un convincente (sebbene antipatico) Michael Douglas nel doppio ruolo del miliardario e di suo padre suicida da giovane.

Un film veloce, pieno di colpi di scena, di inseguimenti alla ricerca di un gioco con cui si gioca la vita. The game è una pellicola intelligente e ben diretta con l’unico particolare che per la sua improbabilità - soprattutto a causa di minuzie incomprensibili e troppo forzate - rischia di essere un castello meraviglioso fondato sulla sabbia.

Insomma, per appassionarsi fino in fondo bisogna avere un po’ di fede. Dando per scontato molte cose e "bevendosene" altre.

Marco Spagnoli