Dei
confini tra il notiziario e la preghiera
Giulio
Mozzi, Il culto
dei morti nell'italia contemporanea, 100 pp., lire 16.000,
collana I coralli, Einaudi, isbn 88.06.15352.8
(data di pubblicazione
prevista: 30 maggio 2000)
Morte e linguaggio. Simulacri prossimi
l’un l’altro all’assente (qui e adesso, a dio) che
Giulio Mozzi assembla nel Culto dei morti nell’Italia
contemporanea con una precisione miracolosa. Con
l’enfasi della catalogazione che si approssima al
sinfonico, che lo sovrasta. Che ne diventa l’alibi più
naturale. Con un inaudito svaporamento dei confini tra il
notiziario e la preghiera. Dei confini tra pudore e
ostentazione oscena. Dei confini (in questo senso, e in
nessun altro, quella del Culto dei morti è una
poesia "sperimentale").
Nello scorrere di questi versi il dato
biologico (l’eco che ne pervade il resoconto) oppone
alla metafisica la sua disarmante presenza, la lascia
decantare nel cut-up che campiona endecasillabi e
prosa giornalistica, accordati sulla stessa pulsazione
sinistra, ineludibile: la percezione della morte come
fatto inesorabilmente individuale (come dato, potremmo
dire ampollando il lessico, evenementale). La morte di
Antonio Porta, la morte di Moana Pozzi, la morte interiore
di quelle parate funebri che sono i premi letterari e
insomma la morte di tutte le "persone" che
emergono dall’opera ha la stessa spietata non pervasività
del quotidiano dimesso che ci abita in esubero, ormai
strutturale, di informazioni inutili ("Sì lo so,
notizie, soltanto notizie", scriveva Milo De Angelis
vent’anni fa). Giulio separa alchemico le spoglie
multimediali dell’ombre dei cipressi del millennio
consumato, le consegna alla pietà che non si dice per
troppo pudore, e pulsa fortissima negli andare a capo di
una tradizione che sprofonda nell’incubo dei dati, nella
"normalità", ancóra biologica, della morte a
Sarajevo e oggi a Pristina e potrei andare avanti a
scrivere pagine e pagine di divagazioni attorno agli
stimoli che questo libro mi ha dato. Invece chiudo qui,
per dare un termine e scrivere l’unica frase che volevo
davvero scrivere e che non senso infettata da un approccio
da lettore che tende comunque a fare proprie istanze
poetiche che poi sono di Giulio, e che nemmeno so se
interpreto correttamente.
Il culto dei morti nell’Italia
contemporanea è uno dei più bei libri di poesia italiana
del Secondo dopoguerra che abbia letto.
Aldo Nove
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